l'arma della propaganda

La guerra in Ucraina si combatte anche a parole

Pietro De Leo

L’ultima è la sortita del portavoce del Pentagono che accusa Putin di «depravazione». E appone un’altra tessera al mosaico di scontri verbali tra Stati Uniti e Russia. Già l’esordio dell’Amministrazione Biden non fu il massimo. Lo scorso anno, a qualche settimana dal suo insediamento, il 46esimo presidente degli Stati Uniti parlò del Presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, come di un «killer». L’altro rispose con un vecchio modo di dire, «chi mi chiama così, egli stesso si chiama così», per poi aggiungere che «vediamo sempre nell’altro le nostre stesse qualità e pensiamo che sia come noi. E basandoci su questo giudichiamo le sue azioni». E poi la staffilata: «Gli auguro buona salute, senza ironia né per scherzo».

Sempre in quell’occasione, Dmitri Medvedev, braccio destro di Putin e attualmente vice presidente del consiglio di sicurezza russo, rinforzò il concetto: «Posso solo ricordare una citazione del dottor Freud. Nella vita non c’è niente di più costoso della malattia e della stupidità», per poi spiegare: «Dava l’impressione di un uomo sano di mente, quando l’ho conosciuto, ma pare che il passare del tempo abbia pesato su di lui». Un fuoco pirotecnico che disegnava i contorni delle armi utilizzate dall’uno e dall’altro campo nella battaglia verbale. Mentre Biden ha sempre insistito sulla barbarie di Putin. Dall’altra parte (anche se quasi mai è il presidente a rispondere) si insiste sulla forma fisica dell’inquilino della Casa Bianca, il cui stato probabilmente non eccellente è spesso sottolineato da suoi detrattori e adombrato anche da alcune immagini (che poi pure sulle condizioni di Putin c’è una sterminata letteratura di ipotetiche, devastanti cartelle cliniche).

  

Nella fase di guerra, da Biden partì all’indirizzo di Putin una mitragliata di contumelie. Il 16 marzo, per esempio, durante un evento alla Casa Bianca, un giornalista chiede a Biden se Putin fosse o meno un criminale di guerra. Il Presidente degli Stati Uniti, prima risponde di no. Poi ci ripensa e si corregge, «sì, lo è». Il giorno dopo, nuovo capitolo. Presenziando a Capitol Hill ad un evento per il giorno di San Patrizio, altro duetto: Putin, dice, è un «dittatore omicida» e un «puro criminale». Ecco la replica di Dmitri Peskov, storico portavoce di Putin: «Avendo presente l’irritabilità, l’affaticamento e la smemoratezza del signor Biden, che finiscono per portare a esternazioni aggressive, preferiamo astenerci dal fare qualsiasi commento forte per non suscitare ulteriore aggressione».

Insomma, una delegittimazione bella e buona. Poi di nuovo dal fronte statunitense, arrivò il timbro su Putin di essere «un macellaio», così come non è mancata l’accusa di essere un genocida. Di contro, il ministro degli Esteri della Russia Lavrov, al capitolo crimini di guerra controreplicò riferendosi a Biden: «Questi politici non hanno la coscienza pulita». Sempre sullo stesso tema, Dmitri Peskov: «È strano sentire accuse contro Putin da Biden, che ha invitato a bombardare la Jugoslavia e uccidere le persone». Il riferimento è al sostegno dato all’operazione Nato contro la Serbia di Slobodan Milosevic, 1999. Sempre Peskov vergò una puntuta replica in un’altra occasione. Era il 2021. Biden disse che Putin era un pericolo perché la sua economia si basa «sugli armamenti nucleari, il petrolio e nient’altro». Contrattacco del portavoce russo: «Forse gli assistenti avrebbero dovuto preparare l'informazione di contesto per il signor Biden». Come a dire che senza canovaccio non ce la può fare.