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Le bandiere pacifiste non servono con Vladimir Putin. Ora occorre solo rafforzare l'Ucraina

Riccardo Mazzoni
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La decisione del governo tedesco, approvata a larga maggioranza dal Bundestag, di inviare armi pesanti a Kiev rinsalda l'unità europea nella linea della fermezza contro Mosca, e va salutata come una buona notizia dal punto di vista strategico, perché Putin non ha alcuna intenzione di sedersi a un tavolo negoziale e, anzi, sta alzando il tiro contro l'Occidente con un singolare rovesciamento della realtà: non sarebbe infatti la guerra che lui stesso ha scatenato, ma il sostegno militare all'Ucraina a costituire una minaccia per l'Europa. Per cui il sentiero della diplomazia al momento non è solo strettissimo, ma del tutto impraticabile, come dimostra il fallimento annunciato della missione di Guterres, segretario generale dell'Onu che si è mosso fuori tempo massimo e ha candidamente ammesso che la guerra non finirà «con le riunioni», ma solo quando lo deciderà la Russia. E a convincere Mosca non saranno certo le marce con le bandiere arcobaleno né i distinguo speciosi sull'invio di armi difensive e offensive a Kiev che servono solo a conquistare qualche scampolo di consenso nel mondo pacifista: se l'Ucraina è ancora uno Stato sovrano e nella sua capitale resta un governo democratico è perché la Resistenza all'invasione russa è stata supportata anche dalle nostre armi.

 

 

Questo è un dato di realtà difficile da confutare, ma chi legge la guerra con gli occhi velati dall'ideologismo antioccidentale trova sempre nuovi appigli in nome della «complessità» e, spinto più dal mantenimento del proprio quieto vivere che dal miraggio della pace universale, non vede altra strada che «la trattativa», pur in presenza di un lucido disegno espansionistico di Mosca che, oltre all'Ucraina, ha già messo nel mirino anche la Moldavia. Il monito che sale da questa nutrita corrente di pensiero è apocalittico: attenzione, di questo passo si rischia di correre verso la terza guerra mondiale, una paura peraltro molto diffusa e anche legittima, vista l'escalation dei toni di Putin, che non esita a ipotizzare il ricorso ad armi micidiali e segrete contro chiunque ostacoli le sue conquiste. Ma sarebbe un errore gravissimo dimenticare una grande lezione della storia: la seconda guerra mondiale scoppiò infatti anche a causa del vituperato spirito di Monaco con cui Chamberlain e Daladier, nell'illusione di preservare la pace, consegnarono nelle mani di Hitler i territori dei Sudeti che appartenevano alla Repubblica Ceca ma erano a maggioranza tedesca. Una pretesa assurda, basata su un principio capovolto dell'autodeterminazione dei popoli. Quella Conferenza fu l'inizio della fine, e non a caso è passata alla storia come il simbolo del fallimento della politica dell'appeasement che ora si vorrebbe invece riproporre nei confronti di Putin.

 

 

Il pacifismo assoluto è dunque la risposta più sbagliata possibile alla guerra, ma c'è un estremismo speculare che in prospettiva potrebbe essere controproducente: quello che punta a un cambio di regime a Mosca che al momento appare irrealistico. Aiutare l'Ucraina e potenziare le sue capacità difensive è perfettamente in linea con gli interessi occidentali, e anche ridurre al minimo le capacità dell'esercito russo per impedire altre aggressioni in futuro, però certe sortite inutilmente provocatorie andrebbero evitate: ad esempio, il diritto all'autodifesa si esercita anche colpendo le basi nel Paese da cui parte l'aggressione, ma non c'era alcun bisogno che il viceministro della Difesa britannico lo esplicitasse sollecitando gli ucraini ad usare a questo scopo le armi inviate da Londra. Questo per dire che da parte dell'Occidente serve agire con fermezza, ma guardando già ora oltre la guerra e tenendo conto che le ultime notizie da Mosca non sono affatto rassicuranti: chi vuol destituire Putin è infatti più falco di lui.

 

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