Emma Bonino: “Biden ha sbagliato frase ma non giustifichiamo Putin. Europa e Nato non hanno responsabilità”
Senatrice Bonino, proveniamo da 72 ore in cui, oltre al dramma del conflitto, è arrivata la dirompenza delle parole di Joe Biden, che pare aver invocato, per quanto poi corretto dalla Casa Bianca, il golpe in Russia. Lei come valuta questa sortita per contenuto e tempistica?
«Biden è stato poco felice nell'espressione "quest'uomo non deve rimanere al potere": anche se è probabilmente un auspicio di molti, poteva apparire come la volontà di forzare direttamente una deposizione di Putin. La Casa Bianca ha precisato e sfumato, la guerra si gioca, e non da ora, anche sulla comunicazione e la propaganda. Ciò detto, non dimentichiamoci che nel frattempo Putin ha mandato i sicari ceceni a Kiev per uccidere Zelensky che si è comunque detto pronto ad incontrarlo per negoziare. E soprattutto, non usiamo le parole di Biden per rispolverare la tesi secondo cui sarebbe tutta colpa dell'Occidente: la Nato e l'Europa non hanno alcuna responsabilità, quella di Putin è una invasione gratuita verso un paese democratico, libero, che ha aspirazioni europee. Ed è questo, e non altro, che Putin non sopporta».
In Europa ci sono state prese di distanza da parte di Borrel, Macron e Scholz. Cosa va cambiato, nell'affrontare questa crisi bellica, nel rapporto tra Ue e Stati Uniti?
«A parte episodi come questo, pur rilevante, nella gestione di questa crisi Usa e Ue hanno giustamente agito all'unisono, sulle sanzioni, sul no all'intervento e sulla forniture militari a Kiev. Più in generale l'Unione europea ha di fronte un dilemma decennale: dipendere dagli Usa per la propria sicurezza oppure dotarsi di una autonoma politica estera e di sicurezza. Questo era per me chiaro ben prima dell'aggressione di Putin all'Ucraina: se vogliamo pensare ad una forma di difesa comune, dobbiamo pensare ad una politica estera comune, oggi del tutto impossibile perché le decisioni devono essere all'unanimità. Se vogliamo essere interlocutori paritari degli Usa, dobbiamo essere conseguenti».
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In ogni modo, il grumo di potere politico-economico attorno a Putin pare essere meno compatto di prima. Chubais ha lasciato la Russia. Nabiullina, numero uno della Banca centrale russa, ha chiesto più volte di dimettersi. Molti oligarchi sono in difficoltà. Questo potrà frenare l'impeto di Putin?
«Lo scopo delle sanzioni a Mosca è esattamente quello di mettere pressione sulle persone che circondano Putin, che vedono compromessi i loro affari. Oggi queste sanzioni stanno avendo un impatto molto forte. L'obiettivo isolare Putin economicamente, perché politicamente mi sembra che ormai sia già molto isolato. Sia chiaro che il popolo russo è colpito dalle sanzioni per colpa della guerra che Putin e solo Putin ha voluto. Nessuno vuole male al popolo russo. Anzi».
Quanto allo scenario generale è che i decibel del confronto verbale, sin dall'inizio dell'invasione, abbiano pregiudicato un efficace linea di confronto con Putin. Ad esempio, quando è stato definito sia da Biden che da Johnson «criminale di guerra», ma c'è una corte penale internazionale che dovrebbe occuparsi di questo. È così secondo lei?
«La Corte penale internazionale ha già aperto un'istruttoria per crimini di guerra in Ucraina, starà alla Corte stabilire quali crimini siano stati commessi e chi ne siano i responsabili. Mi sono battuta per l'istituzione della Corte e penso sia giusto che anche i generali russi e lo stesso Putin sappiano che saranno chiamati a rispondere delle loro azioni in Ucraina. Dopodiché, i bombardamenti su obiettivi civili con centinaia di vittime civili tra cui troppi bambini sono già un fatto. Così come la catastrofe umanitaria a Mariupol e non solo».
In tutto questo, pare di vedere un paradosso. A mediare sono la Turchia apertamente, e la Cina in maniera meno esposta. Due regimi. Mentre l'Occidente democratico non ha ancora un mediatore riconosciuto e condiviso in campo. Non è, secondo lei, un deficit politico?
«La reazione occidentale ha rafforzato Zelensky e ha consentito all'Ucraina di difendersi. Se ci sarà un negoziato serio sarà solo perchè l'Ucraina non ha capitolato, non certo per la benevolenza di Putin. Le democrazie, comprese anche Australia e Giappone, difendono l'aggredito dall'aggressore, Turchia e Cina non hanno preso una netta posizione di condanna. Non si tratta di deficit politico, ma del fatto che le democrazie non si sono sottratte a prendere le parti della democrazia ucraina. Per la eventuale pace sarà decisivo il nostro ruolo di garanti».
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Venendo al negoziato. I punti sul tavolo sono: neutralità dell'Ucraina, Denazificazione, lo status del Donbass e della Crimea. La Russia vorrebbe un assetto di divisione territoriale come la Corea. L'Ucraina è pronta a discutere sulla neutralità ma dice no a cessioni territoriali. Quale può essere un punto di caduta?
«Mi permetta, ma queste sono le richieste della Russia, non i punti del negoziato. Ma di quale denazificazione stiamo parlando? Quella fatta con le bombe negli ospedali pediatrici o nei teatri? Questa è la dimostrazione della insincerità di Putin. Il punto di caduta di un eventuale negoziato serio, per il quale faremo la nostra parte, dovrà essere accettato da Zelensky e non imposto da Putin».
Arriva in Senato il Decreto Ucraina, con lo spettro di un nuovo voto ad un ordine del giorno che sancisca l'aumento della spesa militare al 2% del pil, così come contenuto da un accordo Nato. Giuseppe Conte ha espresso contrarietà. Secondo lei il governo rischia su questo?
«Conte è in evidente imbarazzo, sta cercando di recuperare un po' di consenso: guida un partito che professava l'uscita dalla Nato e dall'euro, ha accolto Putin trionfalmente nel 2019, probabilmente cerca un diversivo anche per far dimenticare le politiche passate del M5S e le spaccature interne. Sulle spese militari abbiamo preso impegni anni fa - nel 2014 sarebbe paradossale venire meno ora. Certo bisogna spendere bene e con almeno un forte coordinamento europeo, ma gli impegni vanno rispettati. Trovo poco responsabile minacciare di non sostenere il Governo proprio ora su questo tema».
L'accordo Nato, però, era informale e non è stato ratificato dal nostro Parlamento. Questo non complica il confronto tra forze politiche?
«È una questione di volontà e di scelta politica, dobbiamo sostenere la posizione di Mario Draghi ed evitare l'idea di un'Italia che si defila dalle proprie responsabilità e non onora gli impegni assunti dai governi precedenti. A maggior ragione in un momento come l'attuale».
Il cancelliere tedesco Scholz ha detto che la Germania sta valutando l'adozione di uno scudo anti missile per proteggere il Paese dalla minaccia anti russa. La Russia pattuglia il Mediterraneo, ed applica la sua influenza in Cirenaica. In pratica, è vicinissima all'Italia. Dovremmo cambiare anche noi i nostri sistemi di difesa?
«Io credo che sia arrivato il momento di pensare a un sistema di difesa europeo, che ovviamente deve però essere preceduto da strumenti effettivi di politica estera comune, a partire dal superamento del voto unanime su questi temi. Se ognuno va per la propria strada con il proprio esercito, non riusciremo in quanto Europa ad essere efficaci sul piano internazionale. Visto peraltro che si parla tanto di spese militari, è così, con un sistema di difesa comune, che possiamo davvero razionalizzare la spesa».
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