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Opporsi alla Russia è anche una questione etica e di sacrifici

Roberto Segatori
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Dopo 20 giorni dall'inizio dell'aggressione militare russa all'Ucraina, gli italiani sono passati dalla condizione di spettatori passivi a quella di testimoni coinvolti emotivamente e materialmente. Dapprima si sono diffuse le macroanalisi di tipo geopolitico. Si è ragionato ancora in termini di rapporti tra zone di influenza. Così, nonostante la fine dell'Urss e l'indipendenza raggiunta dalle ex repubbliche sovietiche fin dal 1991, si è cercato di comprendere le ragioni di Putin nella preoccupazione per l'allargamento della Nato, nell'annessione della Crimea nel 2014 e nel risentimento per la mancata applicazione degli Accordi di Minsk circa l'autonomia delle regioni di Donezk e Luhansk. Qualche politologo ha anche scritto, non senza fondamento, che gli Usa, senza alcun impegno militare diretto, siano riusciti a destabilizzare la Russia e a mettere in una situazione difficile l'Unione europea. Poi però è emersa in tutta la sua cruda evidenza la consapevolezza dei fatti.

 

 

Nessuna delle ragioni attribuibili a una «logica di potenza» poteva e può giustificare l'attacco bellico a un popolo intero che ha scelto nella libertà, nella democrazia e nei modelli culturali - una maniera diversa di vivere. L'ultimo rapporto dell'Onu della settimana scorsa parlava di oltre 1.200 vittime, di cui 27 bambini, tra la popolazione civile, per tralasciare i morti tra i militari dei due fronti. C'è poi un paradosso impossibile da nascondere: avendo detto Putin che l'«operazione speciale» in Ucraina è finalizzata a riconquistare «terre da sempre russe», perché allora egli bombarda quel popolo che lui considera appunto russo? Di fronte a questi fatti, il governo italiano - come quello di altri Stati occidentali - ha adottato tre misure per costringere Putin a interrompere la guerra: sanzioni (blocchi finanziari e dei beni degli oligarchi), fornitura di armi leggere ai combattenti ucraini, ospitalità ai profughi. Trovandosi però l'Italia - come la maggior parte dei Paesi del mondo - in una situazione di interconnessione globale per lo scambio di energia, materie prime e merci, essa deve oggi misurarsi con una stagione di sacrifici. Ed è qui che sembra rispuntare l'antico bizantinismo nazionale.

 

 

La frase di Putin di inserire l'Italia tra i «Paesi ostili» è una minaccia a cui sottrarsi ad ogni costo o una medaglia d'onore? La stessa Anpi (l'associazione dei partigiani) si è pronunciata - con un atteggiamento quasi paternalistico verso i resistenti ucraini - contro l'invio delle armi, finendo con l'essere definita Associazione Nazionale Pavidi d'Italia. Certo, se ci sono sacrifici da affrontare, è giusto che il governo tenga conto delle differenze di classe tra gli italiani e che tuteli di più i meno abbienti. È innegabile però che al fondo di tutto ci sia una questione etica. Della capacità cioè degli italiani di comportarsi sapendo che in gioco non c'è solo qualche sacrificio materiale ma l'eticità della propria esistenza, senza la quale cessa ogni senso di umanità.

 

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