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Attacco al made in Italy, l'Europa boicotta il nostro vino

Dario Martini
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Arriva dall’Europa l’ennesimo attacco al made in Italy. Nello specifico, al vino italiano. Stavolta, ad attivarsi è stata la Beca. Dietro all’acronimo si nasconde la commissione speciale del Parlamento europeo sulla lotta contro il cancro. Non ci sono dubbi che la sua sia una missione importantissima, soprattutto di fronte a numeri drammatici: nel 2020 nella Ue sono state 2,7 milioni le persone a cui è stato diagnosticato un tumore e 1,3 milioni hanno perso la vita. Il punto, però, è un altro. La Beca, infatti, per rafforzare le politiche di prevenzione al cancro ha messo nel mirino il consumo di alcol, senza fare distinzione tra chi beve in modo smodato e chi lo fa con equilibrio. Rischiando così di mettere alla gogna il consumo tout court, dal bicchiere di vino al giorno al boccale di birra ogni tanto con gli amici. La commissione del Parlamento Ue ha approvato una risoluzione che tra un paio di mesi dovrà essere sottoposta all’esame dell’Aula. Poi, se supererà anche quel vaglio, sarà la Commissione guidata dalla von der Leyen a chiedere ai vari Stati di adeguarsi.

La premessa del documento approvato due giorni fa dalla Beca (29 voti a favore, uno contro e quattro astenuti) è la seguente: «L’Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ndr) ha classificato l’etanolo e l’acetaldeide contenuti nelle bevande alcoliche come cancerogeni per l’essere umano. In Europa circa il 10% di tutti i casi di cancro negli uomini e il 3% nelle donne sono riconducibili al consumo di alcol». L’obiettivo europeo è quello di ridurre almeno del 10% il «consumo dannoso di alcol entro il 2025». Per farlo, la nuova risoluzione impegna gli Stati a «sostenere la necessità di offrire ai consumatori informazioni appropriate migliorando l’etichettatura delle bevande alcoliche con l’inclusione di avvertenze ben visibili e introducendo l’indicazione obbligatoria degli ingredienti e delle informazioni nutrizionali». I produttori italiani sono già sul piede di guerra: «Così vogliono paragonare il vino al fumo, è assurdo». Inoltre, la risoluzione «invita a proibire la pubblicità di bevande alcoliche in occasione degli eventi sportivi e la sponsorizzazione di manifestazioni sportive da parte di produttori di bevande alcoliche». È evidente che, limitando la pubblicità, crollerebbero anche le vendite. Ma non finisce qui. Si punta anche «a stanziare fondi pubblici a favore di campagne di sensibilizzazione a livello nazionale ed europeo». Non poteva mancare la mazzata finale, con «la revisione della tassazione e delle politiche sulla definizione dei prezzi, compreso l’aumento delle imposte sulle bevande alcoliche».

Insorge la Coldiretti. Per il presidente, Ettore Prandini, così «si spinge ad introdurre allarmi per la salute nelle etichette delle bevande alcoliche come per i pacchetti di sigarette». Una scelta che oltre a tagliare il consumo interno potrebbe avere conseguenze sulle esportazioni. Anche per Paolo Castelletti, segretario dell’Unione Italiana Vini «il voto emerso pone in serio pericolo un’economia, una cultura e uno stile di vita fondamentali per l’Italia. Basterebbe verificare l’ultimo rapporto Eurostat per capire come i Paesi europei con il maggior consumo pro-capite di vino siano contemporaneamente in coda alle classifiche del bere compulsivo». Secondo l’istituto statistico Ue, infatti, Italia e Cipro in primis, ma anche Spagna, Grecia e Portogallo, sono i "winelover" più assidui e allo stesso tempo i meno dediti a consumi pesanti, a differenza dei Paesi del Nord Europa.

Al momento, l’allarme dei produttori è stato accolto dal sottosegretario alle Politiche agricole Gianmarco Centinaio (Lega): «Affermare che non esiste un livello sicuro di consumo, oltre che un approccio semplicistico e fuorviante si tradurrebbe in un ingente danno per il nostro Made in Italy. Il vino non può essere criminalizzato».

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