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A Roma arriva un clandestino di nome Emmanuel Macron. Ecco la firma del misterioso Trattato del Quirinale

Francesco Storace
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Giovedì prossimo a Roma ci sarà un clandestino francese. Lo riconosceremo da una borsa con su scritto top secret: sarà il presidente della Francia Emmanuel Macron, che verrà a rifilarci il “trattato del Quirinale”. Si tratta di un misterioso documento che sarà firmato da lui e Mario Draghi e la cerimonia sarà al Colle tanto per far contento l’inquilino giunto al termine del suo mandato. Il Parlamento non ne sa nulla. Alcuni organi di stampa ospitano giaculatorie di economisti di livello che lanciano allarmi inascoltati. A Parigi sperano che l’affare si realizzi. Per loro. Apparentemente di tratta di cooperazione tra Stati, all’insegna di una "forte relazione bilaterale". Poi, vai a cercare tra le pieghe dei comunicati dell’Eliseo e cominci a chiederti che roba è “il coordinamento dei due Paesi in materia di politica europea ed estera, di sicurezza e di difesa, di politica migratoria, di economia, di scuola, ricerca, cultura e cooperazione transfrontaliera". Non c’è già l’Unione europea a impicciarsi dei fatti nostri? Ora pure la Francia sarà autorizzata a darci direttive?

 

 

Il Trattato del Quirinale è già finito nel mirino del deputato leghista Claudio Borghi, che ha ricordato in un’interrogazione quanto accadde tra il 2017 e il 2018: “Con il Governo Gentiloni, era stata annunciata la volontà di iniziare i tavoli di lavoro per dare vita al suddetto ‘Trattato del Quirinale’. La firma dell'accordo saltò con il cambio di governo”. Chiede Borghi “se risponda al vero che l'Italia e la Francia siano in procinto di firmare il Trattato e come sia possibile che il Parlamento italiano non sia stato informato neanche sommariamente di tale avvenimento”. Con una puntura niente male: se il governo sappia “di quali elementi disponga circa il ruolo svolto, nell'ambito della trattativa, dall'ex Presidente del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, e in base a quale mandato”. Perché fu proprio Gentiloni, nel 2015, da ministro degli Esteri del Governo Renzi, a tentare di cedere acque territoriali italiane dei mari di Sardegna, Toscana e Liguria alla Francia (accordo bilaterale di Caen firmato dai governi italiano e francese il 21 marzo 2015). Il destino – una volta tanto – fu clemente con l’Italia e l’accordo non fu ratificato dal nostro Parlamento per cui non se fece nulla. Ora, si dice anche su forte pressione del Capo dello Stato italiano, si ricomincia e si è alla vigilia della firma, un po’ inaspettatamente, con assoluta carenza di notizie sui contenuti reali dell’intesa. A quanto se ne sa in ambienti comunitari, i francesi sono assolutamente entusiasti per la conclusione di ciò che per loro, a sentire i giudizi di chi ha avuto la ventura di esaminare le bozze riservate, sarà un ottimo affare.

 

 

E c’è chi tenta di metterci in guardia, come il politologo ed economista Carlo Pelanda. Questi, in un’intervista rilasciata a Il Sussidiario.net, ha denunciato che lo scenario peggiore che si verrebbe a determinare per l’Italia con la firma del Trattato sarebbe “quello di sancire un’auto-annessione alla Francia, industriale e strategica. Edulcorata ma sostanziale”. “I tecnici francesi mostrano di sapere benissimo cosa vogliono, mentre quelli italiani sono spaesati, cercano di fare controproposte che sono deboli perché prive di prospettiva. C’è un’asimmetria palpabile e imbarazzante”. Del resto, lo squilibrio è determinato da alcuni fattori evidenti. Anzitutto il forte disavanzo della bilancia commerciale francese, con un’economia in forte crisi. La finanza transalpina drena risorse dal nostro risparmio privato per ripianare i propri debiti; ed è abbastanza evidente quel che accade sul fronte energetico dove si registra una concorrenza spietata tra Eni e Total: il terreno di gioco sta nello sfruttamento dei giacimenti libici e in quelli della fascia sub-sahariana in Africa. Poi, nel sistema cantieristico, da parte dell’Eliseo non sono giunti segnali di amicizia. Ad esempio, impedendo l’acquisizione dei Chantiers de l’Atlantique da parte di Fincantieri. Sono note anche le manovre sulla ex Oto Melara, azienda controllata del Gruppo Leonardo. Un consorzio franco-tedesco è pronto a portarsi via l’ennesimo gioiello dell’industria italiana.

Dice a Formiche.net Giulio Sapelli, economista con rilevanti competenze in materia: “L’Italia deve riequilibrare un rapporto che ad oggi è gravemente sbilanciato, subalterno. La Francia continua a intervenire nella nostra vita economica, e ci riesce anche”. Il trattato comporta impegni sul fronte Difesa e sicurezza. Alla domanda sul rischio che la Francia voglia affermare una posizione di supremazia europea, il professore è netto: “Non è un rischio, è il piano, alla luce del sole. Ripeto, il partenariato può essere un bene ma il tempismo non è ideale. Ci sono partite industriali in sospeso che è opportuno risolvere prima. Dalla vicenda Leonardo-Oto Melara alla trattativa fra Vivendi e Kkr in Tim. E poi c’è una questione di metodo. Il modo in cui è stato negoziato è una vergogna. Secretato, sottratto al controllo del Parlamento, cucito da privati cittadini, senza l’ombra di un dibattito pubblico. Mattarella dovrebbe dire una parola”. Ma non la dice. Non la dice proprio nessuno.

 

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