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Ma ora il G20 diventi lo strumento per rendere centrale l'Europa

Angelo De Mattia
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Difficile dire se sia fondata l'aspettativa pronunciata dal commissario Ue Paolo Gentiloni a proposito della possibilità che dalla cocente sconfitta in Afghanistan scaturisca l'ora dell'Europa. Troppe volte è stato formulato questo auspicio in presenza di crisi nelle quali il ruolo dell'Europa era assente o marginale, senza, però, che seguissero fatti coerenti. L'«ex malo bonum» non si verifica sempre; anzi, molto spesso è un modo per farsi coraggio e sperare nel «bonum». Ma occorrono presupposti concreti per poter validamente sperare, senza illudersi e confidare in automatici mutamenti. Intanto, l'Europa al G20, alla cui convocazione straordinaria nel prossimo mese sta lavorando il premier Mario Draghi, presidente di turno del Gruppo, non si presenterà in quanto tale, ma con i singoli Paesi che fanno parte del raggruppamento. Non solo. Già ora si evidenziano differenziazioni non secondarie nelle posizioni dei diversi partner. È condivisibile sostenere che il G20 rappresenta molto meglio del G7 la realtà internazionale e, dunque, i Paesi che direttamente o indirettamente possono avere interessi ai rapporti con l'Afghanistan, come già si sta dimostrando, a cominciare da Cina, India e Russia. Ma ciò rende ancora più difficili la sintesi e, soprattutto, le decisioni operative. Il rischio resta quello di conclusioni degli incontri, come ha detto un esponente del Governo, con parole vuote.

 

 

Anche quando, come nel G20 di Londra del 2009 si assunsero decisioni che non erano semplici parole in materia di nuovi standard normativi internazionali, aspirandosi finanche a un riconcepimento del diritto internazionale, nonché di beni pubblici globali, poi l'attuazione di tali indirizzi - il secondo punto di difficoltà - finì con il restare in larga parte sospesa. Il terzo aspetto da considerare, quanto all'efficacia del summit in questione, è dato dal fatto che finora le riunioni del G.20 sono state prevalentemente promosse per temi economici, anche se essi sono ovviamente connessi a scelte politiche. Nel caso dell'Afghanistan, invece, la priorità assoluta è politica e concerne sia la situazione in quel Paese, i diritti umani, le libertà, il ruolo delle donne, la sicurezza nonché le relazioni internazionali, sia la questione dei profughi. Naturalmente, sottesi vi sono temi economici, in particolare quello delle risorse naturali di cui l'Afghanistan è ricco. Un ruolo europeo ben diverso, soprattutto nella politica estera, finora, negli anni, quasi muto, richiede un progresso dell'integrazione che al momento non appare alle viste, né sarebbe conseguibile con uno spirito elitario, per non dire giacobino. L'integrazione deve camminare sulle gambe degli uomini. Disegnare una nuova sovranità, più avanzata, presupposto anche per un diverso agire in politica estera dal livello comunitario, richiede che si decidano i meccanismi istituzionali perché vi possa essere l'integrale, effettiva partecipazione dei partner; al tempo stesso, va attuato, e valorizzato, il principio di sussidiarietà verticale, che fa parte di quelli che i Padri fondatori posero a base del processo di integrazione, secondo il quale ciò che può essere fatto a livello nazionale non va trasferito alla sede comunitaria.

 

 

È chiaro che una sovranità europea più avanzata richiede che si tocchino poteri nazionali vitali, quale può essere quello fiscale o quello penale, nonché della sicurezza. Verso quale terra? Il percorso, ammesso che sia condiviso, non è breve e facile, soprattutto se una burocrazia comunitaria qual é quella dell'oggi fa del tutto, con i suoi formalismi e la veduta corta, per scoraggiare l'avanzamento dell'integrazione. Una palingenesi non è possibile, ma il rinnovamento della burocrazia di Bruxelles è un punto fondamentale per l'avanzamento dell'Unione.

 

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