Afghanistan, l'accusa agli Usa della principessa Soraya: "20 anni inutili per noi. Hanno pensato solo ai militari"
Oggi continua a sostenere l’artigianato femminile afghano e allo stesso tempo è impegnata sul tema dei diritti femminili in Afghanistan. Per la principessa Soraya Malek vuol dire tenere vivo lo spirito di sua nonna, la regina Soraya d’Afghanistan, considerata una della prime e influenti femministe tanto da guadagnarsi la copertina del Time Magazine nel 1927; e di suo nonno, il re Amanullah, conosciuto come grande modernizzatore, deposto nel 1929 da una rivoluzione. È a lui che già negli anni Venti del secolo scorso, si deve l’abolizione del velo per le donne afghane.
Principessa Soraya, lei porta lo stesso nome di sua nonna, regina d’Afghanistan. Un’eredità che «pesa».
«È un orgoglio, un dovere, e sì, anche un "peso". Tante cose sono state fatte dai miei nonni anche per la volontà del re Amanullah. Il re e la regina Soraya allora avevano già una visione moderna della società afghana. Pensi che hanno dato vita alla prima Costituzione e hanno voluto le scuole elementari obbligatorie e pagate dallo Stato. Per non parlare dei carcerati che venivano stipendiati dallo Stato affinché potessero essere di supporto economico alle proprie famiglie».
Spesso afferma che «la sfortuna più grande per una donna è nascere in Afghanistan».
«La società afghana è fortemente maschilista. Le donne non sono proprio considerate. È opportuno ricordare che negli ultimi quarantacinque anni il Paese ha subito ininterrottamente guerre e devastazione e questo ha portato il novanta per cento della popolazione afghana a essere minata psicologicamente. È tra l’altro un Paese dove regna un’altissima ignoranza. Secondo il Corano l’uomo non deve alzare lo sguardo verso una donna. E questo è successo anche qualche volta a me. Dovuto proprio all’ignoranza».
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Eppure, negli anni Settanta si parlava di donne afghane in minigonna.
«Attenzione, la società di allora non è quella quella che oggi ci descrivono. Allora le donne in minigonna erano molto poche. Invece gran parte della popolazione nei villaggi era col burqa. Abbigliamento che, tra l’altro, non nasce con i talebani ma risale a oltre duecento anni fa. Arriva dall’India, allora conquista britannica, ed è stato portato in Afghanistan proprio dagli inglesi sempre animati da spirito dominatore».
Con l’arrivo dei talebani, potrebbero peggiorare le cose in Afghanistan?
«Questo non lo sappiamo. Proprio ieri ho saputo che i talebani che sono sunniti sono andati a pregare alla moschea shiita. Come dire che i protestanti andassero a pregare con i cattolici. Quindi è una sorta di “apertura” quella dei talebani che a oggi non sappiamo dove condurrà. Non sappiamo che tipo di accordi hanno fatto gli americani. La cosa che fa rabbia è che gli americani hanno agito da soli escludendo tutti, finanche i loro alleati e non ultimo gli afghani stessi. Insomma, nessuno sapeva di ciò che si parlava a Doha (Qatar, ndr). Un fatto è certo, la gente ha paura, è terrorizzata e non si fida di nessuno».
È stata molto criticata la tempistica sul ritiro delle truppe Usa.
«Certo. La mossa degli statunitensi infatti ha privilegiato i talebani. Se gli americani se ne fossero andati via dall’Afghanistan a ottobre prossimo - come tra l’altro avevano annunciato - la neve e il ghiaccio non avrebbero certo favorito i talebani per conquistare il Paese. Pensi che qualche mese fa, gli americani hanno obbligato a liberare circa cinquemila talebani dalle prigioni afghane. E con disappunto, le autorità locali hanno dovuto soddisfare le richieste».
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Cosa è cambiato in questi venti anni di presenza dell’Alleanza occidentale in Afghanistan?
«Quando l’Alleanza è arrivata in Afghanistan, s’è divisa le province. All’Italia hanno dato Herat mentre i britannici e gli statunitensi si sono presi Helmand e Kandahar dove c’è la più grande produzione di oppio nel mondo. E prima che arrivasse l’Alleanza, con i talebani, non c’era traccia di oppio in quanto i fondamentalisti islamici ne avevano proibito la coltivazione. Di certo gli Alleati hanno realizzato poche infrastrutture. Si sono più preoccupati ad addestrare i militari afghani e non certo di far crescere il Paese dal punto di vista socio-economico».
Come vede il futuro prossimo in Afghanistan?
«Nulla è ancora chiaro. Bisogna capire che tipo di accordi stanno stipulando esponenti afghani e talebani per un eventuale governo di transizione. Non sappiamo niente. Di certo sappiamo che questi talebani hanno conquistato le città con le moto e le auto. E questo perché i soldati afghani da sei mesi non prendevano più lo stipendio. Per non parlare della grande corruzione, i "signori" della guerra, i "signori" della droga. Al momento è tutto fluido...».
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