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Afghanistan, la verità su ritirata Usa e talebani. Parla il generale Leonardo Tricarico: "Fermate i macellai di Kabul"

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Gaetano Mineo
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L'ex capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare, Leonardo Incarico, non le manda a dire. Da buon militare non ama il politichese. E così, sulla spinosa questione Afghanistan, boccia l'attuale Nato, auspicando che l'Italia «si dia una svegliata», divenendo protagonista in un nuovo scenario internazionale, sfruttando l'attuale presidenza di turno del G20.

Generale, Joe Biden è agnello sacrificale o attore del ritorno dei talebani in Afghanistan?
«La sua azione è la conseguenza di decisioni prese in questi anni in maniera bipartisan, quindi sia da parte dei Democratici sia dei Repubblicani. Gli americani hanno lasciato l'Afghanistan perché erano stanchi di pagare con tasse e sangue problemi non loro, non interni agli Usa. E in merito, i sondaggi l'hanno fatto da padrona. Quindi la situazione incubava da diversi anni».

Molti accusano il presidente Usa per aver ritirato le truppe prematuramente. Condivide?
«Sotto un certo aspetto è stato prematuro ma allo stesso tempo è stato tardivo. Mi spiego: se è vero - ma non è vero - che il loro unico scopo era sconfiggere il terrorismo e uccidere Osama bin Laden, il ritiro delle truppe doveva avvenire tanto tempo prima. Ma non è stato così. La missione, invece, ha cambiato nome, operando per la formazione dei militari afghani e per dare una sicurezza al loro Paese, e allo stesso tempo, per promuovere la crescita socio-economica afghana. E proprio per quest' ultimo obiettivo, il ritiro delle truppe Usa è stato prematuro, perché a oggi non s' è registrate nessuna crescita del Paese. D'altronde, per obiettivi così ambiziosi, occorrono decenni e non certo con il numero degli uomini messi in campo finora, ma maggiorato almeno dieci volte».

La riconquista dei talebani dell'Afghanistan può definirsi un fallimento della Nato?
«Quando si dice Nato si dice Stati Uniti, essendo gli azionisti di maggioranza di questa Alleanza. Tuttavia, credo che sia giunto il momento anche per noi - ammesso che ci vogliamo dare una svegliata - di prendere in mano la sicurezza del Continente, dei nostri Paesi, rimboccandoci le maniche ripartendo proprio da una rifondazione della Nato, in quanto, finora, così com' è non serve. E servita ai presunti scopi statunitensi, ma speriamo ora che la nostra voce (quella italiana, ndr) possa avere un altro "peso" per riscrivere l'Alleanza».

Da dove si dovrebbe ripartire?
«La Nato non dovrebbe essere più un'Alleanza di difesa, come detta l'art. 5. Potremmo definire il nuovo ruolo come "gendarmi del mondo". Un ruolo esteso anche ad altri Paesi e asservito a un processo decisionale che miri al meglio a nuovi obiettivi. Esempio: dovremmo disegnare una nuova Nato antiterroristica e che combatta la "guerra cibernetica". E potremmo andare avanti. In sostanza, è possibile che la Nato serva a difendere i cieli dei Baltici... Il fatto che fino adesso tutti hanno taciuto, perché così gli Usa volevano. Ma forse è il momento di rivedere l'equilibrio di forze all'interno dell'Alleanza alla luce di questo nuovo percorso Usa oramai irreversibile».

Agli italiani la missione afghana costata oltre 7 miliardi di euro. Visto i risultati, l'Italia ha qualche "mea culpa"?
«L'Italia non ha tanto da battersi il petto. In Afghanistan abbiamo agito bene. Gli italiani si sono contraddistinti come una forza dal "volto buono", interagendo con le popolazioni più di quanto abbiano fatto altri. Nessuno come noi oggi può partecipare a qualsiasi iniziativa internazionale bellica, di pacificazione o di altra natura, avendo una preparazione e professionalità di tutto rispetto. E questo nonostante siamo tra gli ultimi Paesi in merito alle risorse destinate ai sistemi militari. L'unica colpa che possiamo attribuire all'Italia, invece, è di essere andata troppo a traino di altri Paesi, non esprimendo di conseguenza una propria linea». Quale dovrebbe essere la prima mossa della comunità internazionale in Afghanistan? «Auspico che la comunità internazionale, la più larga possibile, metta a punto una strategia che possa imporre ai talebani dei comportamenti che tengano presente le conquiste che noi abbiamo fatto in Afghanistan in questi venti anni, in modo tale da accreditarsi con la collettività internazionale. In sostanza, tutti insieme dobbiamo capire come evitare che quel regime teocratico possa far ri-precipitare nel Medio Evo questo Paese. E l'Italia in questo potrebbe essere protagonista».

In che senso?
«Oggi è il momento di convocare il G20 di cui l'Italia è presidente di turno. Se la riunione la convoca Mario Draghi non è certo come se la convocasse Giuseppe Conte, Matteo Renzi o Paolo Gentiloni. Il che vuol dire che va sfruttato questo momento della nostra presidenza, prendendo noi l'iniziativa attraverso un documento da approvare, tenendo conto della sensibilità di tutti, scatenando poi gli sherpa in modo tale da poterlo negoziare dietro le quinte e quindi farlo approvare per fermare questi "macellai"».

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