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Afghanistan, se non combatte gli integralisti l'Occidente sancisce il suo suicidio

Andrea Amata
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L'espugnazione di Kabul da parte dei talebani rappresenta la disfatta dell'Occidente, il cui ritiro dal teatro afghano ha consegnato un'intera popolazione al potere oscurantista della legge islamica. Dopo l'attentato dell'11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York, gli Stati Uniti dichiararono guerra al terrorismo di Al Qaeda, invadendo con una coalizione internazionale l'Afghanistan dove erano insediati i campi di addestramento delle formazioni terroristiche di Osama bin Laden.

In 20 anni le democrazie occidentali hanno investito ingenti risorse per controllare il territorio afghano, neutralizzando le velleità egemoniche nell'area dei mujaheddin. Ma la corriva decisione di ritirare le truppe Usa e Nato ha determinato la riconquista talebana, vanificando l'impegno economico e morale dell'Occidente nella lotta alla jihad globale. Per un ventennio i Paesi Nato hanno mobilitato energie nel tentativo di stabilizzare il governo nazionale e supportare la società civile nel processo di emancipazione dal retaggio medievale dei talebani. Tuttavia, gli analisti imputano la debolezza della missione in Afghanistan allo scarso coordinamento fra le unità della coalizione alleata che si è dimostrata lacerata fra strategia «combat» (americani e inglesi) e di «peacekeeping» (Italia e Germania), vulnerando l'efficacia delle azioni militari per la definitiva sconfitta delle milizie talebane. I giovani, nati alla vigilia delle ostilità e durante il conflitto, che hanno sempre respirato i valori della libertà di matrice occidentale rischiano di essere catapultati in un tempo retrivo e ignoto. Per questi ragazzi l'Occidente non è una propaggine estranea alla loro vita, ma parte integrante.

L'improvvisa avanzata dei fanatici islamici ha significato per molti di loro subire una specie di mutilazione identitaria, essendosi formati in un habitat laico che riconosce alla dignità personale la libertà di esprimersi. Può attecchire nella comunità afghana un messaggio devastante che si irradia ad un raggio globale: il tradimento dell'Occidente nel significato etimologico di tradĕre (consegnare al nemico). Il conflitto con la Jihad è destinato a non placarsi, anzi la riconquista dell’Afghanistan può galvanizzare il fondamentalismo islamico che dalla base afghana proverà a riorganizzare la strategia offensiva, consolidando il reclutamento di adepti nelle galassie terroristiche e usando la presa di Kabul come leva per il proselitismo nella guerra santa. Il mondo occidentale non può tollerare che le donne vengano “restituite” alla prigionia del burqa, privandole di ogni diritto, o osservare passivamente all’escalation di violenza innescata dagli estremisti.

Le democrazie non possono permettere al terrorismo di matrice islamica di rialzare la testa, destabilizzando aree strategiche per gli interessi della comunità internazionale e minacciando la convivenza pacifica delle società occidentali. Occorre porre rimedio all’errore, ascrivibile alle amministrazioni Usa Trump e Biden, di aver accelerato il ritiro delle truppe americane senza prima completare lo sradicamento del terrorismo e verificare la piena funzionalità della prassi democratica. Se non si ripristina un impegno autorevole delle forze Nato nel contrasto agli integralisti la storia potrebbe incaricarsi di emettere il suo implacabile verdetto, sancendo l’autolesionismo dell’Occidente nel pianificare il proprio suicidio strategico.

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