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La doppia morale dei Dem sul manifesto dei sovranisti: tutta l'ipocrisia del Pd sulla politica estera

Pietro De Leo
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Forse un po’ per strategia (coprire il caos del Movimento 5 Stelle che rischia di travolgere tutto il centrosinistra) sicuramente per l’istinto mai sopito al ditino alzato da Enrico Letta e dal Pd si sono levati strali per la partecipazione della Lega di Matteo Salvini al documento sull’Europa assieme ad altri partiti di area sovranista e conservatrice. Non si può stare con Orban e con Draghi, è la tesi imperante dei ritornelli. Come se l’area progressista non abbia da rimproverarsi frequentazioni assai più discutibili e persino nodi irrisolti della storia che ben poco hanno a che vedere con la democrazia. A quest’ultima categoria può sicuramente appartenere l’indimenticata citazione di Nicola Zingaretti, segretario Pd fino a qualche mese fa, nel suo libro «Piazza Grande». Dove Zingaretti scriveva: «Se non ci fosse stata l' Unione sovietica non sarebbero state possibili le lotte dei partiti democratici e di sinistra». Un accennato elogio che non osiamo immaginare quali guerre puniche, condanne, anatemi avrebbe provocato se fosse avvenuto a parti invertite.

 

 

Quanto alle amicizie, per dir così, spesso poco convenienti basti ricordare l’elezione a Milano, tra le fila del Pd, di Sumaya Abdel Qader, italiana, nata da genitori giordani, musulmana. E fin qui nulla di male, se non fosse per la sua attività associativa collaterale al movimento dei Fratelli Musulmani. D’altronde, con le frange più estremiste di quel mondo la sinistra italiana ha sempre fatto i conti, basti ricordare certe antiche inclinazioni del mondo diessino verso Hamas ed Hezbollah (in occasione della guerra in Libano) ai tempi del secondo governo Prodi. E poi c’è tutto il capitolo del Movimento 5 Stelle. Qui l’aneddotica è davvero lunga e mostra, sì, veri aspetti di incompatibilità con la politica estera, che ha pienamente recuperato la vocazione filoatlantica, dell’attuale governo. A partire dall’incontro di Beppe Grillo con l’ambasciatore cinese in Italia proprio nei giorni in cui Mario Draghi era impegnato nel G7 in Cornovaglia. Un summit in cui Biden, di fatto, ha chiamato a raccolta le forze dell’Occidente contro l’espansionismo di Pechino. D’altronde, la posizione del Movimento 5 Stelle nei confronti del regime di Xi Jinping ha sempre rasentato l’inclinazione favorevole. I pentastellati sono stati auspici e motori dell’accordo sulla Via della Seta, che di fatto ha reso l’Italia terminale mediterraneo delle mire di Pechino in Occidente.
 

 

E come dimenticare la posizione dell’Italia, assai timida per non dire indulgente, verso la Cina all’esplodere del Covid. Addirittura, Di Maio ringraziava Pechino pubblicamente, e con ampia enfasi, per l’invio di medici e materiale sanitario. Proprio quando si affollavano ampie zone d’ombra sull’effettiva trasparenza della Cina nel gestire le fasi iniziali della pandemia, e soprattutto sul ritardo in cui diede l’allarme al mondo. Ma non è finita qui, perché sono assai note le posizioni pentastellate sulla complicata situazione del quadrante sudamericano. Quando nel 2019 ci fu un tentativo di rovesciare il regime di Maduro, furono ben note le difficoltà del grillini (che erano al governo con la Lega) nel prendere posizione contro il dittatore. Nel 2017 una delegazione di grillini si recò a Caracas per la commemorare il caudillo precedente, Hugo Chavez. Tutte circostanze che non hanno mai richiesto l’indizione di un esame di maturità, o meglio di compatibilità, da parte dei maestrini Pd.
 

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