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Papa Francesco, dopo l'Islam i comunisti: il Papa pensa al viaggio in Corea del Nord

Luigi Bisignani
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Caro direttore, dallo zucchetto bianco di Bergoglio, dopo l'Iraq sta per uscire un altro viaggio choc: la Corea del Nord. Nell'ultimo periodo, infatti, un emissario di Kim Jong -Un è stato avvistato nei sacri palazzi e questa volta ci vorrà tutto l'acume del Segretario di Stato Piero Parolin, che sta riprendendo le fila di quello che resta della diplomazia vaticana, per evitare, dopo Bagdad, un ennesimo strappo. Sono molti, e non solo in Vaticano, a chiedersi se siamo proprio sicuri che i musulmani ci vogliano davvero come fratelli, come supplica sempre Francesco, accolto con le scimitarre sguainate a Bagdad, da sempre simbolo di terrore soprattutto per i cristiani. Che durante il suo pontificato ci sia stato un incremento delle persecuzioni contro i cristiani e, soprattutto, contro i cattolici, sono i dati ufficiali a dirlo. Siamo tutti fratelli?

Può darsi, ma bisognerebbe ricordarlo anche in Nigeria, dove il presidente ed ex generale Muhammadu Buhari, a forza di armare i pastori dell'etnia fulani, oltre a massacrare i cristiani del suo Paese sta facendo espandere la guerra santa islamista in tutta l'Africa centro meridionale, partendo da Camerun, Mali, Burkina Faso fino a Congo e Mozambico. Ma perché Francesco non è andato ad Abuja, piuttosto che a Lagos, a dire che così non si fa? Siamo tutti contro le persecuzioni sofferte dall'etnia bengalese, sconfinata in Myanmar, dei Rohinga.

Il rapporto di Open Doors, l'agenzia cristiana che si occupa di perseguitati, pone Bangladesh e Pakistan tra i Paesi a più elevato tasso di violenza anticristiana: niente viaggi papali dunque a Dacca e Islamabad? Tralasciando l'Argentina, dove ormai hanno capito non arriverà mai, come lui stesso ha confessato, neppure da morto, non trovando neppure il tempo per una visita nella chiesa Argentina di Roma dove troneggia comunque una sua grande foto. Misteri forse del suo passato a Buenos Aires tra peronisti di sinistra e generali golpisti e difficilmente, come fu per Evita, si può) immagina re per lui una canzone come «Don't cry for me Argentina».

Se poi questi appaiono viaggi troppo faticosi, ci sarebbe anche una visita in Lussemburgo, il cui premier del Partito Democratico (in teoria, un partito di ispirazione cattolica) Xavier Bettel si addirittura presentato in Vaticano con il coniuge dello stesso sesso, o a Madrid dove è partito l'assalto a tutto quanto sa di cattolico. E, per restare nelle vicinanze, sarebbe stata più significativa una presenza del Pontefice in luoghi come Bergamo, segnata da un sacrificio umano che lascia sgomenti con i camion di bare che sono diventate l'immagine simbolo del Covid nel mondo. Francesco, che ha voluto eliminare il titolo di Vicario di Cristo, forse si sta preparando a rinunciare anche a quello di Primate d'Italia.

Nel frattempo, compie l'ennesima provocazione alla Curia accettando le cano niche dimissioni del settantacinquenne Cardinale Robert Sarah, il più sottile interprete dell'Emerito Ratzinger, da Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, forse per l'unica pecca di aver criticato Bergoglio. La notizia ha creato sgomento anche perché è consuetudine prorogare il mandato dei chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all'unità. Chiediamolo nella preghiera per tutto il Medio Oriente, penso in particolare alla martoriata Siria». Per la prima volta, un Pontefice celebra la messa in rito caldeo; lo fa nella Cattedrale di San Giuseppe. E torna a rivolgersi al suo gregge che ormai, capi Dicastero fino al compimento degli ottanta anni di età a maggior ragione se, come nel caso del Cardinale Sarah, godono di buona salute (vedi i cardinali Sandri e Versaldi 77, Ravasi 78). Sembrerebbe un altro chiaro segnale indirizzato ai Prelati considerati conservatori e a un fedelissimo di Benedetto XVI.

Al suo posto, si sussurra, arriverà il solito «frate di strada» piemontese o l'attuale Segretario dello stesso Dicastero, l'Arcivescovo Monsignor Arthur Roche, ovviamente anche lui fedelissimo del Papa. Sono ormai tanti, come li chiamano a Santa Marta, i «martiri viventi» del suo pontificato, sempre più punto di riferimento di una Chiesa che sa attendere e che considera al declino il tempo di Francesco. Non si ha memoria di un Papa così isolato e, se per i suoi predecessori si evocò la canonizzazione in tempi rapidi, non tutti sono pronti a scommettere su altrettanta celerità per un Pontefice sicuramente tanto amato ma con tanti nemici interni che stanno vivisezionando al microscopio sin da ora ogni singolo atto da inviare eventualmente alla Congregazione dei Santi. Lunga vita al Papa. 

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