Elezioni Usa, Joe Biden quasi presidente ma Trump attacca. Proteste e arresti
Sono passati due giorni dalla lunga maratona elettorale americana e lo scrutinio non ha ancora proclamato un vincitore. La narrazione di questa tornata elettorale, la più importante e drammatica della recente storia americana, ha restituito però con certezza un perdente: Donald Trump. Non tanto nei risultati Stato per Stato, ancora oggi una corsa sul filo di lana, nemmeno nei commenti delle maggiori emittenti e media nazionali come internazionali, il racconto di una sconfitta è tutta opera di un Presidente uscente che si è mostrato da subito disposto a tutto pur di non uscire dalla Casa Bianca. Anche a discapito delle elementari regole della democrazia se non della volontà espressa da milioni di americani mano a mano che dallo spoglio delle schede emergeva. Quando The Donald nel primo mattino americano di mercoledì è uscito allo scoperto, con fanfara presidenziale e annuncio roboante, in un salone della White House per annunciare la sua autoproclamata vittoria malgrado lo scrutinio ed il voto ancora in corso, a chiunque è sembrato chiaro come dietro il viso tirato e le parole minacciose si celassero i demoni personali della disfatta, elettorale e umana. Tutto è apparso non degno di un Presidente democratico: la retorica, la mimica, lo spregio delle istituzioni, le minacce poco velate. La condotta censurabile di un adolescente ribelle, oppure di un despota ottuso, non certo quella del Capo di Stato più importante del mondo occidentale.
Biden parla da presidente. E Trump annuncia ricorsi
L'impressione è quella che il tycoon prestato alla politica abbia portato il suo Paese a toccare in queste ore uno dei punti più bassi della pratica democratica e del rispetto dei principi della res publica. Spingendosi fino a soffiare sulla brace di una nazione comunque divisa, afflitta da una crisi sanitaria, economica e di identità. "La condotta di Trump è oltraggiosa, scorretta e senza alcun precedente": non vale tanto il giudizio sferzante di Jen O'Malley Dillon, capo della campagna di Joe Biden, a sintetizzare un sentimento comune e crescente, quanto quella di diversi esponenti di spicco dello stesso Partito Repubblicano, che in buona parte ha (mal) tollerato le intemperanze di The Donald fino a quando è rimasto fantino vincente. Ma che pare pronto a disarcionarlo in questa corsa che mina alle fondamenta i pilastri di quella Great America che Trump ha sempre sostenuto di avere massimamente a cuore. "We win by ballots, not by bullets", Vogliamo vincere con i voti non con le pallottole, ha sintetizzato su tutti l'ex governatore dell'Alaska e amico di vecchia data di Trump.
L'America ha dimostrato nella sua storia di poter generare anomalie lampanti ma di avere anche la capacità di sviluppare rapida gli anticorpi necessari a restare in piedi, salda e brandendo la propria fiaccola della Libertà. "Trump è un perdente", aveva scritto profetico il suo ex Consigliere per la sicurezza John Bolton nel libro confessione pubblicato qualche mese fa"“è un uomo che guarda al mondo come un qualcosa diviso tra chi vince e chi perde. E lui è sul punto di cadere dalla parte sbagliata dell'emisfero".