Il Patto-beffa
Migranti, ma quale riforma di Dublino: così la Ue ci ha fregato ancora
La Commissione Ue lancia il nuovo Patto sulla migrazione e l'asilo. Una riforma sulla gestione europea dell'immigrazione che dovrebbe andare oltre il famoso trattato di Dublino che in tutti questi anni ha lasciato l'Italia sola a fronteggiare migliaia e migliaia di sbarchi sulle sue coste. Una buona notizia, sembrerebbe. Ma a leggere bene la proposta della Commissione, che dovrà comunque essere messa in pratica dal Consiglio Ue, si capisce che non c'è nulla di veramente concreto. Soprattutto, non c'è la cosa più importante: l'obbligo di ricollocare i migranti tra i vari Paesi europei. Per dare un contentino all'Italia, la Commissione guidata da Ursula Von der Leyen stavolta si inventa i "rimpatri sponsorizzati". In pratica, se un Paese rifiuta di prendersi in carico un ricollocamento deve offrirsi di gestire le pratiche di rimpatrio direttamente dal paese Ue sotto pressione. Tra l'altro le parole sono importanti: deve "offrirsi". Obblighi non ce ne sono.
Il "patto" proposto dalla Commissione è un florilegio di buone intenzioni. Solidarietà tra i 27 per la gestione dei flussi migratori, controlli più rapidi e accurati alle frontiere, accelerazione dei procedimenti di rimpatrio. E . come detto, nessun obbligo nei ricollocamenti. La decisione di ciascun paese Ue di accogliere migranti che arrivano in Europa rimane su base volontaria e ciascun governo deciderà il tipo di supporto che vorrà fornire ai paesi ’sotto pressione. Ecco perché questa riforma in realtà riforma ben poco.
La Commissione europea promette anche di "alleggerire i Paesi di primo ingresso", ma nel "nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo" il principio resta, e si prevede la possibilità per chi non voglia farsi carico dell’accoglienza di contribuire in altre forme alla eventuale "pressione" migratoria. L’esecutivo europeo dunque non si spinge a chiedere ai paesi più recalcitranti (Austria e Ungheria in testa, con Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) di farsi carico in maniera obbligatoria dei migranti sbarcati soprattutto alla frontiera sud del Vecchio Continente, (Italia, Grecia e Malta), ma auspica una "solidarietà" e una serie di "forme flessibili di sostegno su base volontaria".
Ylva Johansson, commissaria europea agli Affari interni, promette che la pressione sugli Stati mediterranei verrà alleggerita grazie al nuovo sistema che "prevede la ricollocazione dopo il salvataggio in mare" o, in alternativa, "il sostegno dopo lo sbarco" al Paese europeo che riceve il flusso di migranti. Ma l’obbligatorietà dell’accoglienza non c’è anche se, ripete la Commissione, la riforma di Dublino (che sancisce il principio del paese di primo ingresso) "è urgente" e gli Stati membri dovrebbero trovare un accordo entro l’anno. "Serve solidarietà e responsabilità", dice Ursula von der Leyen, che parla di "un nuovo inizio per ricostruire la fiducia tra gli Stati membri e ripristinare la fiducia dei cittadini nel nostro capacità di gestire la migrazione come Unione".
Alla luce di tutto ciò. il premier Giuseppe Conte finge di essere soddisfatto, ma allo stesso tempo fa capire che questo piano non può essere il punto d'arrivo auspicato dall'Italia. "Il Patto sulla Migrazione è un importante passo verso una politica migratoria davvero europea - dice Conte - Ora il Consiglio Europeo coniughi solidarietà e responsabilità. Serve certezza su rimpatri e redistribuzione: i Paesi di arrivo non possono gestire da soli i flussi a nome dell’Europa". Peccato che questa certezza sia proprio ciò che continua a mancare.
Anche il M5s lo sa, e lo fa notare: "La proposta della Commissione europea sul pacchetto immigrazione e asilo è un buon punto di partenza per il superamento del sistema di Dublino ma necessita di essere migliorata. Il principio di primo approdo non viene superato ma solo mitigato da un principio di solidarietà che di fatto lascia l’Italia da sola a gestire la prima accoglienza e richieste di asilo obbligando gli altri Paesi Ue solo a fornire aiuti finanziari e pagare il rimpatrio che deve essere fatto entro 8 mesi. Così non vengono individuate quote nazionali ma solo criteri poco chiari di competenza nazionali in base a possibilità di ricongiungimento familiare o per precedente presenza per motivi di lavoro o di studio. Non è chiaro nemmeno cosa succede in assenza di accordi per il rimpatrio con i Paesi di provenienza".