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Greta Thunberg piange: i media non parlano di clima. Ma dove vive?

Greta Thunberg a Davos lamenta l'oscuramento del problema clima ma da novembre a oggi è apparso 45 volte nelle prime pagine dei giornali

Pietro De Leo
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Tenetevi forte, perché questa è davvero grossa. Greta Thunberg, la paladina della difesa dell'ambiente assurta ormai a icona globale, ieri ha fatto capolino al forum di Davos. La sua partecipazione era l'evento più atteso, in contrasto rispetto all'arrivo di Donald Trump. E già questo smentisce ciò che ella ha avuto l'ardire di affermare. Ossia, quanto segue: «Le persone muoiono a causa del cambiamento climatico e anche una sola frazione di grado centigrado di riscaldamento è importante. Ma non credo di aver mai visto un solo media comunicarlo, so che non volete dirlo. Ma io continuerò a ripeterlo finché voi non lo scriverete». Avete capito bene. Greta lamenta poca visibilità alle sue campagne. È il paradosso dell'abbondanza, più ne hai e più ne vuoi. Comunque, ecco un breve riepilogo per rinfrescare la memoria. Innanzitutto il caso Italia. Abbiamo fatto un calcolo a spanne, su tre quotidiani (tenendo in conto anche un certo equilibrio di sensibilità culturali), a partire dal primo novembre del 2019 sino a ieri. E abbiamo ricavato un numero, 45. Sono le volte che le tematiche relative al clima compaiono in prima pagina. Questo, chiaramente, non tiene conto degli articoli all' interno, ben più numerosi. Per approfondire leggi anche: A Davos la solita passerella senza decidere nulla Sempre andando agli ultimi giorni, domenica ospite di Fabio Fazio a «Che tempo che fa», è stata Federica Gasbarro, incensata dai giornali come la «Greta Italiana» per quanto il movimento Friday for the future, nato attorno alla mobilitazione per gli scioperi scolastici del venerdì per l'ambiente, abbia preso da lei le distanze. Questioni formali a parte, conta la rilevanza data ai temi. Mai venuta meno in questi mesi. Nello scorso marzo, ad esempio, Nicola Zingaretti dedicò la sua vittoria al congresso Pd proprio a Greta, e la cosa fu ripresa dal trasversale panorama della stampa italiana. Così come si parlò ampiamente della circolare in cui l'ex ministro dell'Istruzione Fioramonti conferiva ai presidi la facoltà di condonare le assenze degli studenti in caso di partecipazione alle manifestazioni del venerdì. Per non parlare, poi, del libro della pargola, «La nostra casa in fiamme», edito in Italia da Mondadori e recensito pressoché ovunque. Sin qui, il caso Italia. Guardiamo all'estero. È ancora fresca di memoria la copertina del Time che ha incensato Greta come «Person of The Year» per il 2019. Il termine di un anno senza dubbio per lei meraviglioso, preso a rincorsa con l'intervista a Fareed Zakaria sulla Cnn tendendo il testimone per una staffetta a renderla icona. Raccolto, tra gli altri, sempre dallo stesso Time che già a maggio cuciva una copertina con lei in un lungo abito (ovviamente verde). E basta fare un giro sul web per vedere il volto della giovane sule copertine non certo riservate ad un pubblico di nicchia. In Inghilterra le ha dedicato tra gli altri una copertina GQ, in posa con il dito puntato. Eccola ancora poi campeggiare sulla «Stern» tedesca. Una vera e propria inondazione a cui non si è sottratta neanche la famiglia. Lo dimostra l' intervista rilasciata da suo padre alla Bbc, in cui racconta la difficile genesi dell'impegno della figlia. Da quest'ondata gretista, peraltro, si è generata una corsa zelante al giornalismo ambientalmente corretto. Prova la dà il Guardian, che nell'autunno scorso ha fatto sapere ai lettori che avrebbe cambiato le parole utilizzate sulla questione, mettendo una sorta di moratoria sul termine «cambiamento climatico», preferendone altri più significativi, come «emergenza climatica» o «crisi climatica». Il problema, dunque, non è leggere o ascoltare la resa giornalistica sui temi di Greta. Semmai fuggirne.

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