sotto accusa
La Camera vota l'impeachment. Ira di Trump: È assalto all'America
Giornata storica negli Stati Uniti. Donald Trump si appresta a essere messo in stato d'accusa dalla Camera dei rappresentanti, riunitasi per votare sui due cosiddetti articoli di impeachment, cioè sulle accuse individuate dai democratici nell'ambito dell'Ucrainagate. "Questo è un assalto all'America e un assalto al partito repubblicano", ha twittato interamente in stampatello a seduta in corso, denunciando "bugie atroci" da parte della "sinistra radicale, democratici fannulloni". "Non ho fatto nulla di male", aveva scritto il tycoon solo qualche ora prima, invitando a dire "una preghiera" per lui e affermando che "questo non dovrebbe mai più succedere a un altro presidente". Intanto sulla collina del Campidoglio circa 200 manifestanti si sono radunati per protestare contro il tycoon, definendolo un "delinquente" e "Traditore". Al centro della procedura di impeachment, avviata dai Dem il 24 settembre, c'è la telefonata del 25 luglio fra Trump e il presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky, in cui il repubblicano chiese all'omologo ucraino di indagare su Joe Biden e sul figlio Hunter, ex membro del cda di una società ucraina del gas. Il miliardario repubblicano è accusato di abuso di potere e ostruzione del Congresso. La prima accusa è legata al fatto che i Dem gli contestano un ricatto: avrebbe bloccato degli aiuti militari all'Ucraina perché, in cambio dello scongelamento, voleva ottenere un'indagine sul rivale democratico Biden. L'accusa di ostruzione del Congresso, invece, è per avere ordinato ai funzionari federali di sfidare i mandati a comparire emessi nell'ambito dell'indagine di impeachment. Trump, dal canto suo, continua a dipingere la procedura come una caccia alle streghe contro di lui, nega che ci sia stato un ricatto e vuole trasformare questa difficile prova in vittoria politica: in un Paese diviso come non mai, punta a galvanizzare la sua base presentandosi come vittima e, grazie alla riuscita dell'economia Usa, di strappare la rielezione alla Casa Bianca il 3 novembre del 2020. Prima di Donald Trump, solo Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1998 sono stati messi in stato d'accusa. Il repubblicano Richard Nixon, travolto dal Watergate, aveva preferito dimettersi nel 1974 prima di una destituzione certa. Il via libera della Camera all'impeachment sembra scontato dal momento che è controllata dai democratici: la seduta si è aperta con delle discussioni procedurali, poi il via a ore di dibattito equamente ripartite fra Dem e repubblicani, che si concluderanno con il voto dell'aula più o meno contemporaneamente a quando Trump salirà sul palco per un comizio elettorale a Battle Creek, in Michigan, uno degli Stati in cui si giocheranno le presidenziali del 2020. "Ciò di cui stiamo discutendo oggi è il fatto assodato che il presidente abbia violato la Costituzione. È un dato di fatto che il presidente sia una minaccia costante alla nostra sicurezza nazionale e all'integrità delle nostre elezioni", ha detto la numero uno dei Dem in Congresso, Nancy Pelosi. Dopo il via libera della Camera, spetterà al Senato organizzare il processo vero e proprio a Trump, a gennaio, ma visto che il Senato è in mano ai repubblicani è improbabile che il 45esimo presidente degli Stati Uniti venga destituito. Così fu per Johnson e Clinton, assolti in Senato, dove la condanna secondo la Costituzione deve essere approvata da una maggioranza dei due terzi (attualmente in Senato i repubblicani hanno 53 seggi, contro i 47 dei democratici). Il tycoon però aspira addirittura a ribaltare le cose trasformando il processo in Senato in uno show che possa favorirlo alle presidenziali, in modo da ottenere un secondo mandato di quattro anni.