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Salta la prima testa: si dimette Kurt Volker, l'inviato Usa in Ucraina

Silvia Sfregola

L'inviato speciale degli Usa in Ucraina Kurt Volker ha rassegnato le dimissioni, dopo essere stato convocato dal Congresso nell'ambito delle indagini sul procedimento di impeachment contro il presidente Usa Donald Trump. Lo ha rivelato una fonte, che ha richiesto l'anonimato, e che ha confermato le dimissioni, rivelate per la prima volta dal giornale studentesco dell'Università dell'Arizona, dove Volker dirige un istituto. L'indagine formale di impeachment, lanciata dai democratici, si concentra sulla telefonata dello scorso 25 luglio fra Trump e il presidente dell'Ucraina, Volodymyr Zelensky, in cui il tycoon gli chiese di indagare sul rivale politico Joe Biden. Sono queste le accuse avanzate dal whistleblower, cioè dalla talpa dell'intelligence che ha segnalato il caso all'inizio di agosto, accuse contenute in una denuncia che è stata ora diffusa dal Congresso. I democratici, per bocca della speaker della Camera Nancy Pelosi, hanno denunciato immediatamente un tentativo di "insabbiamento" e una violazione della Costituzione da parte di Trump, trovando così ulteriore conforto per la loro decisione di avviare un'indagine formale di impeachment per abuso di potere. Dal canto suo Trump, prima di lasciare adirato New York, è tornato a gridare contro quella che definisce una nuova "caccia alle streghe", bollando il caso come "fake news" e parlando di "un whistleblower con informazioni di seconda mano". All'origine della crisi, la controversa telefonata del 25 luglio fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, di cui mercoledì la Casa Bianca ha diffuso la trascrizione realizzata a partire dagli appunti dello staff. Nel colloquio, Trump chiede all'omologo ucraino di indagare sull'ex vice di Barack Obama, Joe Biden, tra i favoriti nelle primarie Dem in vista della corsa per la Casa Bianca del 2020. La conversazione ha suscitato la preoccupazione del misterioso whistleblower, la cui identità non è stata rivelata, il quale ha presentato una segnalazione all'inizio di agosto. La talpa dice di non avere sentito personalmente la telefonata, ma che diversi funzionari della Casa Bianca hanno espresso allarme per la gravità della chiamata dicendo di avere probabilmente "testimoniato un abuso di potere da parte del presidente per un suo guadagno personale" e che lui le ha ritenute "credibili" perché "in quasi tutti i casi diversi responsabili hanno evocato fatti che erano fra loro coerenti". "Ho ricevuto informazioni da diversi funzionari Usa secondo cui il presidente degli Stati Uniti sta usando il potere derivante dal suo incarico per sollecitare un'interferenza da parte di un Paese straniero nelle elezioni Usa del 2020", ha affermato la talpa, aggiungendo che "nei giorni successivi alla telefonata, ho appreso da diversi funzionari Usa che alti funzionari della Casa Bianca erano intervenuti per bloccare (nel testo lock down ndr) tutti i dati della telefonata": la trascrizione della telefonata non fu archiviata nel sistema informatico normalmente usato per questo genere di informazioni, ma in un sistema separato usato per conservare "informazioni classificate di natura particolarmente delicata". Per il whistleblower, la prova che l'entourage di Trump comprendeva la gravità di ciò che era avvenuto. Interrogato ieri al Congresso, il direttore dell'intelligence nazionale (Dni) Joseph Maguire ha detto di non conoscere l'identità della talpa e ha giurato che nessuno nell'amministrazione gli ha chiesto di indagare per scoprirla. Ha poi difeso la decisione iniziale di non trasmettere la segnalazione del whistleblower al Congresso. La rarissima procedura di impeachment per il presidente ha poche chance di portare alla destituzione di Trump, ma sicuramente inasprirà la campagna elettorale in vista delle presidenziali del 2020. Tenuto conto della maggioranza democratica alla Camera, Trump rischia di essere effettivamente messo in stato d'accusa, ma in base alla Costituzione è il Senato a doverlo giudicare, e il Senato è controllato dai repubblicani. Ai Dem servirebbe dunque l'appoggio di 20 senatori repubblicani.