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Immigrati? L'Europa dice no ai rimpatri

Se c'è rischio di torture o altri trattamenti inumani

Silvia Sfregola
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No al rimpatrio dei rifugiati nei loro Paesi d'origine se rischiano la vita. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell'Unione Europea, secondo cui, fintanto che il cittadino di un paese extra-Ue o un apolide abbia un fondato timore di essere perseguitato nel suo paese di origine o di residenza, questa persona dev'essere qualificata come rifugiato ai sensi della direttiva sui rifugiati e della Convenzione di Ginevra e ciò indipendentemente dal fatto che lo status di rifugiato ai sensi della direttiva le sia stato formalmente riconosciuto. Secondo la Corte, la revoca e il rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato non producono l'effetto di privare una persona, la quale abbia fondato timore di essere perseguitata nel suo paese di origine, né dello status di rifugiato né dei diritti che la Convenzione di Ginevra ricollega a tale status. A sollevare il caso un cittadino ivoriano in Belgio e uno congolese nella Repubblica Ceca, nonché una persona di origini cecene, titolari o richiedenti dello status di rifugiato secondo i casi, che si sono visti, rispettivamente, revocare detto status o negare il riconoscimento del medesimo sulla base delle disposizioni della direttiva sui rifugiati che consentono l'adozione di misure del genere nei confronti delle persone che rappresentano una minaccia per la sicurezza o, essendo state condannate per un reato particolarmente grave, per la comunità dello Stato membro ospitante.

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