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Al Bataclan canta Médine, il rapper di "Jihad". Bufera in Francia

L'Europa e la doppia morale sui luoghi della memoria

Pietro De Leo
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Viene da chiedersi cosa ne sia, in Europa, dei luoghi della memoria. Almeno guardando quel che sta accadendo in Francia, a Parigi, dove per fine ottobre è programmato un concerto del rapper Médine, musulmano, figlio di immigrati algerini, uno che canta robe tipo “siano crocifissi i laici sul Golgota” oppure intitola una canzone “Jihad”. Che l'Occidente faccia spesso i conti con le contraddizioni e i rischi della libertà d'espressione fa parte delle sfide del nostro tempo. Però tutto diviene più complicato quando si viene a sapere che il concerto di Medine in questione è programmato proprio al Bataclan. Il luogo della strage islamica del 13 novembre 2015 ad opera di un commando di affiliati dell'Isis, dove morirono 90 persone, molti ragazzi di diverse nazionalità, tra cui l'italiana Valeria Solesin, che era a Parigi per studiare e fare volontariato. Se ci sono date simbolo, quella drammatica notte autunnale segna la fine della favola con cui è stata coltivata, negli anni '90, la generazione degli under 30 di oggi, l'illusione di un'Unione a circolazione libera e sicura. Il pugno allo stomaco della retorica europeista fu sferrato da una generazione, quella degli immigrati musulmani radicalizzati, cittadini francesi, che cercava la morte così come i loro coetanei cercavano la vita. Di tutto questo, il Bataclan è il simbolo che parla al mondo e alla storia. Dunque non può sorprendere come la programmazione di Medine abbia fatto sollevare il centrodestra francese. Il presidente dei Republicains (partito fondato da Nicolas Sarkozy) Laurent Wauquiez ha attaccato: “Meno di tre anni dopo” dall'assassinio, "salirà sul palco un individuo che canta ‘crocifiggiamo i laici' e si presenta come ‘islamo-teppa'”. Marine Le Pen invece tuona: “nessun francese può accettare che questo tizio rovesci queste porcherie sul luogo della carneficina del Bataclan. Basta con la compiacenza”. pic.twitter.com/a1QGa6xMlt— Médine (@Medinrecords) 11 giugno 2018 Nel frattempo, anche due legali, che assistono i familiari di alcune vittime della strage, hanno annunciato un'azione per bloccare lo spettacolo di Medine. Il quale ha risposto rinnovando il suo cordoglio per le vittime degli “abominevoli attentati” ed ha accusato i suoi dettrattori di voler “strumentalizzare” la tragedia.  Al di là dello scontro ad emergere è l'ennesimo saggio di zelo “altrista”, volto a riconoscere una sorta di immunità a qualsiasi espressione della cultura musulmana, nell'osservanza di un concetto ligio di laicità che spesso confina nella censura opposta. E così quando il Bataclan riaprì, un anno dopo la strage, venne impedito l'accesso agli Eagles of Death Metal, che erano sul palco la sera della carneficina, a causa delle dichiarazioni del leader del gruppo, Jesse Huges, il quale ventilò che i buttafuori del teatro fossero collusi con gli attentatori e sostenne di aver visto dei musulmani festeggiare per l'eccidio. In compenso, però, nello slancio più zuccheroso possibile, fu chiamato ad esibirsi Sting che intonò la sua canzone dal titolo eloquente: Inshallah, invocazione musulmana che significa “se Dio vuole”. E dunque in questo vortice di doppia morale rischiano di venir travolti, appunto, il valore della memoria e la dignità di una ferita ancora aperta. Lo fa capire Ivan Rioufol sul sito di Le Figaro, quando scrive che Medine al Bataclan sarebbe come far cantare ad un coro dell'esercito tedesco la marcia militare della Wehrmacht “Heili Heilo” ad Auschwitz. Sia perché il nome del rapper “Medine”, rievoca “la città in cui Maometto dettò i versi più guerrieri del Corano”. Secondo poi perché Medine, argomenta Rioufol, è la dimostrazione di come il rap si sia “islamizzato”, diventando “il braccio armato musicale della jihad”. E dunque ha ragione, Rioufol, nel sostenere che la performance di Medine proprio nel luogo di una strage islamica contro la giovane generazione occidentale altro non sarebbe che l'ennesima infiltrazione nella società del “veleno della sottomissione”. 

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