SENTENZA
La Corte di Strasburgo condanna l'Italia: non ha riconosciuto le nozze gay all'estero
La Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha condannato l'Italia per non aver garantito alle coppie dello stesso sesso sposate all'estero "protezione o riconoscimento legale prima del 2016, anno in cui è entrata in vigore la legge sulle unioni civili". Sebbene la sentenza riconosca l'ampio margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati per quanto riguarda la scelta di consentire o no la registrazione dei matrimoni omosessuali, si segnala la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare. Pertanto, la Corte afferma che le coppie omossessuali "necessitino il riconoscimento legale e la protezione della loro relazione" in modo che i Paesi debbano "offrire un quadro legale alle unioni di persone dello stesso sesso", nonostante "il matrimonio sia aperto solo alle coppie eterosessuali". La Corte di Strasburgo ha esaminato se prima del 2016 "si fosse raggiunto un giusto equilibrio tra gli interessi di competenza dello Stato e le coppie". Pertanto, la sentenza chiarisce che l'Italia non è condannata per non aver consentito le unioni civili, ma per "l'impossibilità per le coppie di ottenere un riconoscimento legale della loro unione", prima del 2016. L'Italia dovrà così pagare 5 mila euro di danni morali a ciascuno dei dodici querelanti e altri 9 mila euro per le spese legali a una coppia, e 10 mila euro ad altre tre. I querelanti sono undici cittadini italiani e uno canadese, che si sono sposati in Canada, California e Olanda e che hanno presentato ricorso davanti al tribunale nel 2012 per non aver potuto registrare la propria unione in Italia. Alcune delle coppie hanno approfittato della legge del 2016, adottata dopo una sentenza di Strasburgo che ha condannato l'Italia nel cosiddetto caso "Oliari e altri contro l'Italia", per non aver riconosciuto legalmente tre coppie omosessuali. La sentenza di oggi è stata approvata con 5 voti favorevoli e due contrari: a opporsi il giudice polacco Krzysztof Wojtyczek e quello ceco Ales Pejchal. In Polonia non vi è alcun riconoscimento delle unioni civili e in Repubblica Ceca le unioni civili tra persone dello stesso sesso hanno diritti limitati. Entrambi i giudici hanno spiegato che la sentenza impone obblighi positivi che non derivano dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in cui si stabilisce una protezione al diritto di rispetto della vita privata e familiare e hanno aggiunto che la Corte deve servire quel trattato e non il suu padrone.