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Tasse, lingua e calcio: ecco perché la Catalogna vuole l'indipendenza

Silvia Sfregola
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La lingua, la cultura, la ferita mai richiusa della Guerra civile. Ma anche le tasse, e persino il calcio. Sono molte le ragioni dietro la crescita del movimento indipendentista catalano, che ha vissuto una vera e propria esplosione negli ultimi cinque anni: oggi quasi il 50% della popolazione, secondo i sondaggi, sarebbe favorevole al divorzio dalla Spagna. L'indipendentismo in Catalogna ha radici antiche, che risalgono alla conquista della regione da parte dei Borboni nel 1714 dopo un assedio durato 14 mesi a Barcellona, all'epoca della guerra di successione spagnola. Lo scontro con Madrid riesplose in modo sanguinoso secoli dopo, durante la Guerra Civile, nel 1936 con i combattimenti tra i repubblicani e la giunta militare. Negli anni della dittatura di Francisco Franco (dal 1939 al 1975) la lingua catalana e tutti i simboli regionali furono quindi proibiti e sono nel 1979, quattro anni dopo la morte di Franco, entrò in vigore un nuovo statuto che sanciva l'autonomia della Catalogna all'interno della Spagna. Lo statuto fu riformato nel 2006 attraverso un accordo tra il presidente catalano Artur Mas e il primo ministro socialista Josè Luis Rodriguez Zapatero. Il nuovo documento estendeva l'autonomia della regione al campo fiscale e a quello giudiziario, comportava l'adozione della lingua catalana da parte dei pubblici ufficiali. Nel preambolo la Catalogna veniva definita nazione. Contro il nuovo statuto aveva fatto ricorso il Partito popolare, e nel 2012 la Corte costituzionale ne aveva decretato la bocciatura. Proprio dal fallimento del progetto di autonomia è scaturita la nuova ondata dell'indipendentismo catalano: i favorevoli all'indipendenza sono schizzati dal 15% al 48% in cinque anni. Già nel 2014 il presidente catalano Arturo Mas provò a indire un referendum, appoggiato dal parlamento regionale. Anche allora la consultazione fu dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, ma Mas decise di andare avanti e tenne un voto "informale": l'80% dei votanti si espresse per l'indipendenza, ma non vi fu alcun seguito legale. Se fino a pochi anni fa le ragioni di chi sosteneva l'indipendenza erano soprattutto culturali, linguistiche e identitarie, negli ultimi anni si sono diffusi forti sentimenti anti-governativi e hanno assunto grande importanza anche le tematiche economiche. La Catalogna è la locomotiva dell'economia spagnola, con un Pil di 211.915 milioni di euro e un tasso di disoccupazione poco sopra il 13% (molto più basso che nel resto della Spagna). A partire dal 2008, con la crisi economica, si è diffusa un'insofferenza per la tassazione da parte di Madrid (considerata iniqua dai partiti indipendentisti) ed è nata in molti l'aspirazione a gestire in autonomia le risorse fiscali. Un ruolo centrale nella diffusione del catalanismo lo ha giocato anche il calcio, con i campioni e i tifosi del Barcellona apertamente schierati per l'indipendenza. Da anni durante le partite, al minuto 17.14 (in ricordo della conquista da parte dei Borboni nel 1714) i tifosi del Camp Nou inneggiano all'indipendenza ed espongono striscioni rivolti agli avversari con scritto "Benvenuti nella Repubblica Catalana". Di recente è stato protagonista l'ex allenatore Pep Guardiola, vero capopopolo per i catalani, che nel giugno di quest'anno si è schierato per il referendum nella grande manifestazione indipendentista organizzata in vista del voto. "Voteremo anche se lo Stato spagnolo non vuole", aveva assicurato rivolto a una folla di 40mila sostenitori.

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