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Referendum Catalogna, oltre 2 milioni alle urne: sì al 90%

Silvia Sfregola
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Due immagini della giornata del 1° ottobre resteranno impresse nella memoria degli spagnoli e del mondo. La prima è quella delle lunghe code di cittadini di tutte le età, con anziani e bambini al seguito, in attesa di votare per il referendum sull'indipendenza dalla Spagna. La seconda, le cariche della polizia nazionale e della guardia civile in tenuta antisommossa, che hanno fatto irruzione nei seggi per sgomberarli con la forza. I video delle cariche contro i manifestanti indifesi hanno fatto il giro del mondo. Sono centinaia le persone rimaste ferite negli scontri. A fine giornata il premier spagnolo Mariano Rajoy assicura che "non c'è stato alcun referendum" e che "la maggioranza catalana non ha partecipato alla sceneggiata". Il governo della Generalitat, da parte sua, garantisce di aver mobilitato "almeno tre milioni di persone". Ma i numeri parlano chiaro: il sì è al 90%. Nella notte sono stati diffusi i dati ufficiali sui votanti (2.262.000), mentre i chiamati alle urne erano circa 5.300.000. I sì sono stati 2.020.000 (90%), mentre i no 176.000 (7,8%).   E sempre i numeri descrivono una mezza guerra civile: almeno 319 seggi bloccati (ma la maggior parte dei 6mila previsti non ha mai nemmeno aperto), 761 feriti tra i manifestanti, di cui due in condizioni gravi, e 12 tra gli agenti. Sei persone arrestate per resistenza a pubblico ufficiale in tutta la catalogna. Decine di denunce contro la polizia e la guardia civile per le violenze ricevute. Sei inchieste avviate da altrettanti giudici sull'operato dei Mossos d'Esquadra, la polizia regionale catalana accusata di non aver agito per fermare il voto. Tra le denunce incrociate ci sono anche quelle di una ragazza che ha subito la rottura delle dita di una mano "una a una" e molestie "denigranti", quella dei vigili del fuoco della Generalitat che hanno subito "cariche di polizia inaccettabili". Da una parte si denuncia l'uso di pallottole di gomma sulla folla. Dall'altra viene fatto circolare un video in cui gli agenti vengono circondati e presi a sassate. Una storia nella storia ha riguardato i Mossos d'Esquadra: le forze di polizia catalana hanno fatto, come previsto, una ricognizione dei seggi all'alba, ma in molti casi se ne sono andati tra gli applausi. Su di loro sono piovute accuse di tradimento e minacce di inchieste per disobbedienza agli ordini. Alla fine quella che doveva essere una consultazione democratica si è trasformata in una giornata di scontri e proteste. I catalani se lo aspettavano e si sono organizzati. Dalle 5 di mattina hanno presidiato i seggi, e hanno continuato a farlo anche dopo le 20, alla fine delle operazioni di voto, per impedire che la polizia potesse sequestrare le urne. In alcuni casi, come nella scuola industriale di Barcellona, i militanti hanno costruito barricate e blocchi stradali. Il conteggio delle schede sarà complicato dal blocco imposto ai sistemi informatici del governo regionale, ma le operazioni proseguiranno comunque per tutta la notte. In serata migliaia di persone si sono radunate a plaza Catalunya al grido "Abbiamo votato!" per seguire lo spoglio dei voti. Si apre ora una nuova fase dello scontro politico: dopo settimane di minacce e di 'muro contro muro', il governo di Madrid e quello della Generalitat di Barcellona dovranno aprire un confronto. Non sarà facile, visti i toni tenuti finora, con accuse di tradimento e irresponsabilità, minacce di azioni legali e ricorsi a tribunali internazionali, reciproche richieste di dimissioni. Per il presidente catalano Carles Puigdemont quella di domenica è "una vergogna che accompagnerà per sempre l'immagine dello Stato spagnolo" mentre l'ex presidente della regione, Arturo Mas, ha dichiarato che "oggi la Spagna ha perso la catalogna". Dall'altra parte Mariano Rajoy afferma di aver "constatato la forza della democrazia" contro "il referendum che voleva liquidare la Costituzione". Appelli al dialogo tra i due leader sono arrivati dai governi di tutta Europa, insieme a parole di condanna per le violenze. Chi spera nell'apertura di una trattativa - auspicata da tutte le forze politiche, dal Psoe a Podemos e Ciudadanos, pur con diverse sfumature nella condanna delle azioni di polizia - si appiglia ora alle parole di Rajoy che si dice aperto "a un dialogo sincero nei confini della legge e della democrazia" e convoca per lunedì le forze parlamentari. Un inaspettato mediatore potrebbe essere il premier basco Inigo Urkullu. Ma la ferita del giorno 1 ottobre richiederà tempo per rimarginarsi.

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