COREA DEL SUD

Tangenti alla "sciamana" della presidente: l'erede Samsung condannato a 5 anni

Davide Di Santo

Il ciclone politico che ha travolto Seul fa un'altra vittima. Lee Jae-Yong, l’erede dell’impero Samsung coinvolto nello scandalo di corruzione costato anche la presidenza all’ex presidente della Corea del Sud Park Geun-Hye, è stato condannato a 5 anni di carcere. Jae-Yong è stato riconosciuto colpevole di corruzione, falso giuramento e abuso di beni sociali e la sentenza rischia di lasciare per anni senza timone il primo produttore globale di smartphone, un impero industriale del valore di mercato di oltre 80 miliardi di dollari, il terzo al mondo dopo Apple e Google.  Gli avvocati di Jae-Yong hanno comunque fatto sapere di essere pronti a ricorrere in appello. Altri quattro executive di Samsung erano coinvolti nella vicenda e sono stati condannati a 4 anni di carcere. Jae-Yong, 49 anni, ricopre l’incarico di vice presidente di Samsung Electronics ed è l’erede designato dell’impero che ha ricevuto dal padre, Lee-Kun-Hee. Lee senior, il quale si era dimesso nel 2008 per una brutta faccenda di fondi illeciti, poi era tornato al potere due anni dopo e nel 2014 è stato costretto a lasciare ancora, per un attacco di cuore, passando la gestione dell’azienda al figlio Lee. Jae-Yong era stato arrestato nel febbraio scorso, nell’ambito di una maxi-inchiesta che ha portato alla destituzione di Park Geun-Hye, il primo presidente donna della Corea del Sud. Samsung è stata accusata di aver versato tangenti per un totale di 43,3 miliardi di won (circa 40 milioni di dollari) a un oscuro personaggio, Choi Soon-Sil, senza alcun incarico ufficiale nel governo, ma ribattezzata la Sciamana, o la Rasputin sudcoreana, la quale ha utilizzato la sua relazione e amicizia con la Park per estorcere denari alle grandi aziende sudcoreane. In realtà sono stati gli stessi chabeol, le conglomerate di Seul, le quali pur di acquisire i favori ed entrare nelle grazie del presidente, hanno versato milioni di dollari alle sue fondazioni private. Samsung sarebbe stata la più generosa, seguita dagli altri colossi coreani Hyundai, SK, LG e Lotte. Le donazioni di Samsung e delle altre aziende hanno travolto la Park, che è stata destituita nel dicembre 2016. I soldi versati da Samsung non si limitavano a tangenti, ma erano anche pagamenti legati all’ascesa del giovane erede designato Lee ai vertici del gruppo. La sciamana infatti avrebbe fatto da intermediaria per convincere l’importante azionista di una società di Samsung, il fondo pubblico Nps, il quarto al mondo per valore di asset, ad approvare nel 2015 la fusione tra due aziende di Samsung, Cheil Industries e Samsung C&T, una controllata attiva nelle costruzioni. Il voto di Nps è risultato decisivo per approvare la fusione, un’operazione, del valore di circa 8 miliardi di dollari, fortemente avversata dall’azionista Usa di Samsung, Elliot Associates, e che è servita per spianare l’ascesa nel gruppo di Lee Jae-Yong. Lee infatti si è ritrovato a controllare il 17% della nuova società, che a sua volta detiene la maggioranza di Samsung Electronic. In questo modo si è trovato la strada spianata per salire alla vice presidenza di Samsung Electronic. La difesa di Jae-Yon ha sempre smentito ogni accusa, sostenendo che Samsung era stata pressata dalla Park per fare donazioni alle sue fondazioni e che Jae-Yon non era d’accordo con queste operazioni. L’erede di Samsung si è presentato davanti alla Corte ammanettato e con una pila di documenti sotto il braccio. Circa 800 agenti sono stati dislocati intorno al Tribunale per evitare azioni di dimostranti. La protesta montata nel Paese contro la corruzione della presidente Park si è rivolta contro Lee e gli altri capi dei chaebol, accusati di aver versato tangenti. Nella stessa aula di Tribunale in cui è stato condannato Lee, a maggio, si era tenuto il processo alla Park. Più lontano nel tempo, in quell’aula era stato condannato nel 2008 il padre di Lee, Lee Kun-Hee, arrestato per frode fiscale. La condanna di Lee è molto probabilmente legata alla campagna lanciata dal nuovo presidente sudcoreano, Moon Jae-In per riformare gli chaebol, spesso travolti da casi di corruzione ed evasione fiscale e fortemente legati alla politica. La guida di questi gruppi, come dimostra anche il caso di Samsung, passa di mano per via ereditaria, attraverso legami non sempre trasparenti. La famiglia Lee possiede direttamente solo il 5% delle azioni di Samsung Electronics, ma di fatto controlla l’impero attraverso una fitta rete di incroci azionari che coinvolgono decine di compagnie.