Le ricette di Merkel e Macron: dai migranti ai populisti, l'importante è che stiano a casa loro
Si fa presto a dire Europa. A venticinque anni da quel Trattato di Maastricht che sancì la nascita di una superpotenza economica e che pose le condizioni per la creazione di una nuova forte ed autorevole entità politica l'Europa appare di nuovo, quasi fatalmente, un ibrido sui generis che si aggira nelle cancellerie ora come uno spauracchio, ora come un ostacolo da aggirare e di cui, soprattutto, diffidare. La recente affermazione di Emmanuel Macron in Francia, all'insegna del rifiuto di quell'antieuropeismo sempre più vasto nelle coscienze critiche delle destre e delle sinistre, aveva fatto ben sperare, specialmente dopo le conseguenze drammatiche di quell'azzardo politico chiamato Brexit. Eppure il sospiro di sollievo tirato a Bruxelles dopo la sconfitta di Marine Le Pen ha avuto i giorni contati. Sempre più, infatti, si va delineando una sorta di regressione della capacità decisionale delle istituzioni democratiche riguardo alle principali emergenze politiche ed umanitarie che investono, specialmente in questi giorni, numerosi fronti in tutto il continente. L'assodata incapacità di promuovere ed appoggiare una rete comune alla minaccia terroristica, con un coordinamento delle forze di polizia assai poco efficace sotto il punto di vista dei risultati, sta progressivamente aprendo delle crepe all'interno di uno dei principali pilastri che giustifica l'esistenza stessa della politica intergovernativa europea. La ritrovata stabilità dell'asse franco-tedesco che, oggi come ieri, continua a determinare, ben più della Commissione europea, cosa va e cosa non va fatto, alimenta il dubbio se, effettivamente, la macchinosa burocrazia che connota il folto organigramma di Bruxelles sia ancora davvero utile alla risoluzione delle emergenze dell'oggi, specialmente quando ogni forma di lotta, politica, sociale e dialettica contro l'antieuropeismo va poi a scontrarsi con prese di posizione totalmente avulse dalle sedi comunitarie. Decisioni che, allo stesso tempo, appaiono agli occhi degli osservatori anche meno preparati molto più cogenti di quanto non possa dire o fare Bruxelles col suo folto e un po' obsoleto apparato governativo. I principali dossier geopolitici, dai trattati commerciali all'immigrazione, passando per la Libia, vedono l'Europa comunitaria, sempre più immobile e confusa, scontrarsi con l'Europa delle nazioni che, al contrario, risulta profondamente influente e slegata da qualsiasi vincolo politico o solidaristico. Ecco come l'asse Merkel-Macron come quello con Sarkozy ed Hollande del recente passato, rischia, di nuovo, di gettare nuova benzina sul fuoco nella difficile lotta ingaggiata dall'establishment contro le forze politiche estremiste. L'isolamento e la solitudine che alcuni paesi, come l'Italia, terzo contribuente delle finanze europee, stanno provando sulla loro pelle nella complessa gestione della crisi dei migranti è, senza ombra di dubbio, un nuovo assist alla nascita e al radicamento di vaste aree critiche verso l'Europa e al suo apparente immobilismo. Esce così allo scoperto una sorta di contraddizione in termini: chi, come Merkel e Macron, ha inteso, e da tempo, ingaggiare una lotta politica senza quartiere al radicalismo, al massimalismo e all'antieuropeismo è, allo stesso tempo, uno dei principali artefici dell'aumento del consenso dei populisti i quali, sconfitti in patria, possono benissimo continuare a urlare altrove: l'importante è che stiano a casa loro. È l'Europa del terzo millennio, bellezza.