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Russiagate, Comey: Trump ha mentito e Mosca interferì

James Comey

Silvia Sfregola
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"Pure e semplici bugie" quelle dell'amministrazione di Donald Trump sul licenziamento di James Comey da capo dell'Fbi. In oltre due ore di attesissima testimonianza a porte aperte davanti alla commissione intelligence del Senato, l'ex numero uno del Bureau, silurato da Trump lo scorso 9 maggio, accosta più volte il presidente Usa al concetto di mentire e parla di diffamazione ai danni dell'Fbi: "Nonostante la legge non richiedesse alcuna ragione per licenziare il direttore dell'Fbi, l'amministrazione allora ha scelto di diffamare me e, cosa più importante, l'Fbi, dicendo che l'organizzazione era nel caos e che il personale aveva perso fiducia nel suo leader" ma "queste erano bugie, pure e semplici bugie", tuona. E la Casa Bianca replica prontamente: il presidente "non è un bugiardo". Poi Trump si limita a qualche parola lasciando il resto al suo avvocato: "Siamo sotto assedio...ma ne usciremo più grandi e più forti che mai". Nel post licenziamento di Comey ci fu confusione sulle motivazioni: inizialmente l'amministrazione parlò di ragioni che non avevano nulla a che fare con il Russiagate, la cui indagine era diretta proprio da Comey; ma l'11 maggio fu Trump in persona a cambiare versione, affermando in un'intervista alla Nbc che avrebbe rimosso Trump "indipendentemente dalla raccomandazione" fatta dall'attorney general Jeff Sessions e dal vice di lui Rod Rosenstein. Perché il siluramento? "Non so perché sono stato licenziato. Prendo il presidente in parola sul fatto che sono stato licenziato per il modo in cui dirigevo l'indagine sulla Russia e per la pressione che questo esercitava su di lui", risponde Comey ai senatori. L'ex direttore dell'Fbi dice poi di non avere dubbi sul fatto che la Russia abbia interferito nelle elezioni presidenziali Usa dello scorso 8 novembre, anche se precisa che nessun voto espresso è stato alterato. Quanto alla questione di Michael Flynn, dichiara che Trump gli chiese di lasciare stare l'indagine sull'ex consigliere per la sicurezza nazionale, ma si rifiuta di dire se si sia trattato di ostruzione alla giustizia: "Non penso che stia a me dire se la conversazione che ho avuto con il presidente sia stato un tentativo di ostruzione" della giustizia ma "l'ho presa come una cosa molto allarmante e preoccupante". Il punto dell'ostruzione della giustizia è fondamentale: è su questa accusa, infatti, che secondo diversi esperti legali potrebbe scattare un'eventuale procedura di impeachment per Trump in Congresso. La Costituzione statunitense si limita ad affermare che i motivi specifici per l'impeachment possono essere "tradimento, corruzione e altri alti crimini e misfatti". In ogni caso il procedimento potrebbe durare anni per arrivare al termine: prima si passerebbe dalla Camera, che dovrebbe approvare a maggioranza la richiesta di impeachment; poi si svolgerebbe un processo politico al Senato, in cui per la rimozione del presidente sarebbe necessaria la maggioranza dei due terzi. La reazione di Trump è giunta tramite il suo legale, Marc Kasowitz, che in una dichiarazione contesta alcuni punti chiave della testimonianza: innanzitutto sostiene che Trump non abbia mai chiesto lealtà a Comey; poi sottolinea che "non ha mai, nella forma o nella sostanza, indirizzato o suggerito che Comey dovesse smettere di indagare su qualcuno, né ha suggerito che Comey dovesse 'lasciare andare Flynn'"; infine manifesta la soddisfazione di Trump per il fatto che Comey ha confermato che lui non è indagato in nessuna inchiesta relativa alla Russia. Volto stanco, abito scuro, Comey ha dipinto l'immagine di un presidente molto presente con lui, nel quale riteneva di non potere avere fiducia. E con questa scarsa fiducia Comey ha giustificato la sua decisione di redigere dei memo dei colloqui avuti con Trump, che poi sono filtrati sulla stampa: "temevo che potesse mentire" ed "ero onestamente preoccupato del fatto che potesse mentire sulla natura del nostro incontro", ha spiegato. Poi una vera rivelazione nuova, contro la quale si è scatenato l'avvocato di Trump: Comey ha riconosciuto di avere fatto filtrare sulla stampa, precisamente sul New York Times, i suoi appunti delle conversazioni con il presidente, tramite un amico che è professore di diritto alla Columbia University, dopo che Trump minacciò su Twitter di pubblicare le registrazioni dei loro colloqui. E l'ammissione va oltre: Comey sperava nella nomina di uno 'special counsel' sul Russiagate, che poi arrivò con la scelta di Robert Mueller come 'procuratore speciale' per guidare l'indagine. "Oggi Comey ha ammesso di avere unilateralmente e surrettiziamente fatto rivelazioni non autorizzate alla stampa di comunicazioni confidenziali con il presidente" e "lasceremo alle autorità competenti di stabilire se su queste fughe di notizie si debba indagare", ha dichiarato il legale di Trump.

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