Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Russiagate, Comey conferma: Trump mi chiese di fermare le indagini su Flynn

Esplora:
Da sinistra il presidente Donald Trump e l'ex direttore Fbi James Comey

Silvia Sfregola
  • a
  • a
  • a

"Mi serve lealtà, mi aspetto lealtà". Con queste parole il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, avrebbe preteso la fedeltà dell'ex capo dell'Fbi James Comey nel corso di una cena lo scorso 27 gennaio. Comey, poi licenziato da Trump il 9 maggio, lo ha rivelato in una dichiarazione preparata in vista dell'audizione alla Commissione Intelligence del Senato e pubblicata sul sito della stessa commissione. Comey ha riferito anche di aver avuto il timore che Trump volesse creare "una sorta di rapporto di patronato" e ha confermato l'indiscrezione, che circola da settimane sui media di tutto il mondo, secondo cui Trump chiese di "lasciare stare" le indagini sui legami con la Russia dell'ex consigliere alla Sicurezza Nazionale, Michael Flynn, silurato il 13 febbraio per aver mentito al vicepresidente Mike Pence. Nel corso di un colloquio nello Studio Ovale, il 14 febbraio, il presidente avrebbe detto a Comey che "Flynn non aveva fatto nulla di sbagliato nel parlare con i russi, e che lui aveva dovuto licenziarlo perché aveva ingannato il vicepresidente, e aggiunto: 'È un bravo ragazzo. Spero che tu possa lasciare stare'". "Durante una riunione in privato alla Trump Tower, senza che il presidente Trump lo chiedesse direttamente, gli ho dato la certezza" che l'Fbi "non stava indagando su di lui personalmente" nell'ambito delle indagini sul Russiagate, racconta ancora Comey. Nonostante questo, nella cena del 27 gennaio, "il presidente mi ha chiesto se volevo rimanere il direttore dell'Fbi. Una domanda che ho trovato strana, perché mi aveva già detto due volte, in altre conversazioni, che sperava io rimanessi. E io avevo confermato questa volontà". Comey, che dopo ogni incontro con il presidente si è curato di scrivere un memo per fissare nero su bianco il contenuto di colloqui che considerava anomali, se non preoccupanti, racconta che "l'istinto mi ha detto che quel faccia a faccia, e il riferimento alla mia posizione, significavano che, almeno in parte, la cena era un tentativo di farmi richiedere di mantenere il mio lavoro e creare così una sorta di rapporto di patronato". "Questo mi ha preoccupato molto, dato lo status indipendente dell'Fbi rispetto all'esecutivo", annota Comey. "Ho risposto che amavo il mio lavoro e avevo intenzione di rimanere, che non sarei stato 'affidabile' nel modo in cui i politici usano questa parola, ma che poteva contare sempre su di me per dirgli la verità. Ho aggiunto che non ero schierato politicamente con nessuno", ricorda l'ex capo dell'Fbi. "Pochi istanti dopo, il presidente ha detto: 'Ho bisogno di fedeltà, mi aspetto lealtà'. Non mi muovevo, non parlavo, né cambiavo l'espressione del viso in alcun modo", racconta ancora Comey. La testimonianza di Comey sul suo rapporto con il presidente, e sulle presunte interferenze nell'indagine sul Russiagate, è attesissima negli Usa. Nelle scorse settimane, alcune indiscrezioni di stampa avevano parlato di pressioni di Trump e tentativi di assicurarsi la fedeltà degli investigatori. Le parole di Comey, scelto da Obama come capo del Bureau of Investigation nel 2013, confermano e aggravano il quadro, e potrebbero condurre il tycoon all'incriminazione per ostruzione alla giustizia. Un'ipotesi che rischia di essere il preludio all'impeachment, già ventilato a più riprese dai democratici.

Dai blog