LA NUOVA AMERICA

Star del cinema contro Trump, Jodie Foster guida la protesta

Silvia Sfregola

Mancano poco più di ventiquattr'ore alla notte degli Oscar, che si prevede sarà altamente politicizzata dopo che anche le star solitamente più schive hanno scelto di esporsi contro il presidente Donald Trump unendosi alle proteste che ormai ogni giorno si tengono nel Paese. Trump, in risposta, ha provocatoriamente twittato: "Forse i milioni di persone che hanno votato per "Rendere l'America grande di nuovo" dovrebbero organizzare la propria manifestazione. Sarebbe la più grande di tutte!". Maybe the millions of people who voted to MAKE AMERICA GREAT AGAIN should have their own rally. It would be the biggest of them all!— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 25 febbraio 2017 Ciò mentre la Casa Bianca è in una nuova bufera dopo che diversi giornalisti di grandi media statunitensi ieri non sono stati ammessi al briefing giornaliero del portavoce, Sean Spicer. E intanto emerge che il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, il generale H.R. McMaster, ha preso le distanze dalla rigida posizione dell'amministrazione sul mondo islamico, contestando la definizione di "terrorismo islamico radicale". Jodie Foster contro Trump La United Talent Agency di Beverly Hills quest'anno ha cancellato la festa in vista della notte degli Oscar, trasformandola in una manifestazione contro Trump. Vi hanno partecipato star e personaggi del cinema, e tra loro è spiccata Jodie Foster, solitamente restia a mostrarsi sotto i riflettori per prendere posizioni politiche. L'attrice, vincitrice dell'Oscar per "Il silenzio degli innocenti" e "Sotto accusa", ha dichiarato: "Non sono una persona che ama usare il suo volto pubblico per l'attivismo", "ma quest'anno è diverso, è tempo di impegnarsi. È una periodo insolito nella storia". Sul palco è salita anche la star di "Ritorno al futuro", Michael J. Fox, che ha parlato di sé e delle star del cinema come di "quelli fortunati", affermando di voler condividere un po' di quella fortuna con i profughi che vogliono entrare negli Usa. Le proteste dei divi, così come quelle ormai quotidiane in tutto il Paese, contestano infatti le politiche migratorie di Trump, dopo il suo ordine esecutivo per bloccare l'ingresso negli Usa ai cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana. In video conferenza da Teheran è anche intervenuto il regista iraniano Asghar Farhadi, nominato agli Oscar come miglior film straniero 'Il cliente' ma che boicotterà la cerimonia. Con altri cinque candidati al miglior film straniero, ha inoltre firmato un comunicato in cui viene criticato il clima "di fanatismo e nazionalismo" degli Usa e di altre parti del mondo. Il divieto ai giornalisti alla Casa Bianca I reporter di Cnn, New York Times, Politico, Los Angeles Times e BuzzFeed non sono stati ammessi al briefing 'a telecamere spente' di Spicer, senza una motivazione sulla scelta delle testate bandite. Trump si è più volte scagliato contro i media, che accusa di fornire "notizie false" e ha definito "nemici" degli americani. La decisione ha scatenato una dura risposta. "Nulla del genere è mai accaduto alla Casa Bianca nella nostra lunga storia in cui abbiamo seguito molte amministrazioni di diversi partiti", ha scritto Dean Baquet, il direttore del New York Times, sottolineando che "il libero accesso dei media a un governo trasparente è ovviamente di cruciale interesse nazionale". Cnn ha twittato: "Questo è uno sviluppo inaccettabile", "apparentemente legato al riportare fatti che a loro non piacciono, cosa che continueremo a fare". Proteste sono arrivate anche dalla White House Correspondents Association, l'associazione dei corrispondenti dalla Casa Bianca. Proprio ieri, Spicer aveva ribadito: "Non lasceremo che racconti falsi, storie false e fatti inaccurati escano da qui". La posizione ufficiale sull'Islam Il nuovo consigliere alla sicurezza nazionale di Trump, il generale H.R. McMaster, ha preso sull'islam una posizione diversa da quella di Trump, fatto che potrebbe segnalare un approccio più moderato verso il mondo islamico, ha riferito il New York Times. Parlando con i collaboratori McMaster, scelto per l'incarico da cui si era dimesso Micheal Flynn per aver mentito sui propri rapporti con diplomatici russi, ha infatti detto che l'etichetta "terrorismo islamico radicale" non è utile, perché i terroristi sono "non-islamici". La scelta di McMaster da parte di Trump aveva stupito molti, perché il generale è noto per le posizioni critiche verso i suoi superiori, mentre la Casa Bianca ha dimostrato di non tollerare chi non è allineato. Nelle forze armate si fece notare (oltre che per le mancate promozioni causate dalle sue posizioni eterodosse) per il modo in cui preparò i militari in Iraq e Siria, istruendoli sulla cultura locale e sulle differenze interne all'islam, invece di adottare la via "uccidi e cattura" che gli Usa avevano usato in precedenza. E in quel frangente stupì anche affermando che alcune rivendicazioni degli iracheni fossero legittime.