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Obama e Onu contro Trump: "È discriminazione"

Silvia Sfregola
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Polemiche e indignazione per l'ordine esecutivo firmato venerdì da Donald Trump, che vieta temporaneamente l'ingresso negli Stati Uniti per i cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana (Iran, Siria, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen e Libia). A fare sentire la propria voce, oltre ai Paesi interessati dal provvedimento, ci sono fra i tanti l'Alto commissariato Onu per i diritti umani, l'agenzia Onu per i rifugiati Unhcr e l'ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Dal canto suo la Casa Bianca, tramite il portavoce Sean Spicer, difende l'iniziativa dicendo che Trump sta rispettando le promesse elettorali e che la sua priorità è la sicurezza. Ma ci sono in vista delle battaglie legali: il procuratore generale dello Stato di Washington, Bob Ferguson, ha annunciato che si rivolgerà a una Corte federale per intentare una causa contro il "travel ban", e ha aggiunto che le società di tecnologia Amazon.com Inc ed Expedia Inc sosterranno l'azione legale. L'Onu si è fatta sentire tramite l'Alto commissario per i diritti umani, Zeid Ra'ad Al Husein, che su Twitter ha parlato di provvedimento "illegale" e "malvagio", oltre che di uno spreco di risorse nella lotta contro il terrorismo. "La discriminazione basata sulla nazionalità è proibita dal diritto umanitario", ha scritto Zeid sul sito di microblogging. Sempre dall'Onu, in particolare dall'agenzia per i rifugiati Unhcr, arriva un allarme: solo questa settimana sono 800 le persone che si sarebbero dovute recare in America come loro nuova casa e sono state invece bloccate; e circa 20mila rifugiati in "circostanze precarie" avrebbero dovuto essere trasferiti negli Stati Uniti nei 120 giorni coperti dalla sospensione annunciata venerdì, riferisce l'Unhcr in una nota, sottolineando che "i rifugiati sono ansiosi, confusi e affranti per questa sospensione, in quello che è già un processo lento". L'ordine esecutivo di Trump infatti, precisamente, dice che gli ingressi di tutti i rifugiati negli Usa sono sospesi per 120 giorni, mentre per 90 giorni è sospesa la concessione di visti ai cittadini di questi sette Paesi, in attesa che vengano stabiliti nuovi meccanismi di vigilanza più rigidi. Proprio su questo tema è intervenuto Barack Obama, per la prima volta da quando ha lasciato la Casa Bianca il 20 gennaio cedendo il posto al successore Trump. L'ex presidente "è fondamentalmente in disaccordo con la nozione di discriminazione contro le persone a motivo della loro fede o religione", ha riferito un suo portavoce, Kevin Lewis, aggiungendo che per l'ex inquilino della Casa Bianca "i valori statunitensi sono in pericolo", ma al tempo stesso Obama è "incoraggiato" dall'impegno sociale scattato nel Paese contro le restrizioni all'immigrazione adottate da Trump. Il riferimento è all'ondata di proteste scoppiate nel Paese contro la misura restrittiva sull'immigrazione. Critiche a Trump anche dal mondo dell'imprenditoria. Per esempio il numero uno di Apple, Tim Cook, ha ricordato che "Apple non esisterebbe senza l'immigrazione"; il direttore generale di Google, Sundar Pichai, ha ricordato che "per generazioni questo Paese è stato il luogo degli immigrati". E ancora i vertici di Ford, cioè il presidente Bill Ford Jr. e il ceo Mark Fields, hanno fatto sapere che non sostengono "questa politica né nessun'altra che vada contro i nostri valori in quanto compagnia"; l'amministratore delegato di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, si è espresso contro l'ordine sull'immigrazione prendendo posizione a difesa dei valori della diversità. E Starbucks è andata ancora oltre: non solo ha espresso la propria contrarietà, ma ha anche annunciato l'intenzione di assumere 10 mila rifugiati in cinque anni nei 75 Paesi in cui opera. Nel Regno Unito migliaia di persone sono scese in piazza per un doppio motivo: sia contro il "travel ban" introdotto da Trump, sia contro la risposta ritenuta troppo timida da parte del governo britannico, con la premier britannica Theresa May che venerdì è stata la prima leader internazionale a essere ricevuta da Trump dopo il suo insediamento alla Casa Bianca. Proteste da Londra a Manchester e Birmingham, da Nottingham a Edimburgo, Glasgow e Cardiff. Ma nonostante il circa un milione di firme raggiunte dalla petizione per chiedere al Regno Unito di ritirare l'invito a Trump per una visita di Stato, la premier May, parlando da Dublino, ha confermato che l'invito al presidente Usa resta valido. Mentre da Teheran il ministro degli Esteri francese, Jean-marc Ayrault, dice che gli Usa dovrebbero revocare le "pericolose" nuove misure sull'immigrazione, aggiungendo che "si tratta di discriminazione" e che ci vuole "un chiarimento urgente al più presto dagli americani". Intanto Trump ha emesso oggi un nuovo decreto: lui, imprenditore entrato in politica che in campagna elettorale aveva puntato molto sulla promessa di ridurre i regolamenti federali che a suo parere pesano sulle imprese americane, circondato da un gruppo di proprietari di piccole e medie imprese ha firmato nello Studio Ovale un ordine esecutivo che taglia i regolamenti Usa prevedendo che, per ogni nuovo regolamento federale che viene introdotto, ne devono essere annullati altri due.

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