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Il vero volto di Fidel Castro: nei suoi gulag 500 mila dissidenti

Luca Rocca
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Per decenni, sotto il regime di Fidel Castro, Fidel «il grande», Fidel il rivoluzionario che lottava per la giustizia sociale, i dissidenti della dittatura cubana, i prigionieri politici, gli oppositori del «Lìder Màximo», sono stati torturati, condannati a morte, imprigionati e uccisi. Perseguitati per anni per la loro resistenza alla tirannia castrista, lasciati morire di fame per le loro proteste, sottoposti alle peggiori sevizie per la loro richiesta di democrazia. Sono stati loro, politici, giornalisti, avvocati, poeti, scrittori, giuristi, intellettuali, attivisti e gay, a lottare per tutta la vita in nome della libertà, a rifugiarsi nelle ambasciate, a fuggire negli Usa spesso morendo in mare, ma anche a perire nelle carceri cubane, sporche, invase da scorpioni e serpenti, piene zeppe di uomini accalcati uno sull'altro in celle di due metri per tre. Questa è stata Cuba da quando Fidel, nel maggio del 1958, prese il potere rovesciando il dittatore Batista. Le massicce repressioni del padre della rivoluzione cubana cominciano subito, e negli anni '60 e '70 portano a condanne pesantissime contro i dissidenti (anche quelli che, rischiando la vita, davano voce all'anticastrismo attraverso le loro radio), alla sostanziale abolizione della libertà di stampa, alla censura di ogni pensiero indipendente, alla creazione di veri e propri lager, applauditi dall'Urss, spiegati e giustificati dalle sinistre occidentali. È il 1982, poi, quando gli esuli anticastristi di «Alpha 66» denunciano l'esecuzione di 12 oppositori e 3mila arresti ordinati da Fidel. Un anno dopo tocca a un gruppo di giuristi e avvocati, sbattuti in galera per aver «violato la Costituzione». Nel 1984 Jorge Valls Arango, poeta e scrittore, ormai incapace di camminare, racconta i suoi 20 anni nelle carceri cubane e afferma che a marcire lì dentro ci sono almeno altri 250 dissidenti, sottoposti a torture fisiche e psicologiche, senza un occhio e privi dell'uso delle gambe, spesso impazziti. Pochi mesi dopo, nel corso del Congresso degli intellettuali cubani dissidenti, viene fuori che i politici anticastristi detenuti sull'isola sono circa 15mila. Intanto i gruppi di oppositori del regime crescono, ne nascono sempre di nuovi, ma la repressione, per tutti gli anni '80, si fa ancora più dura, allo scopo di fermare i «controrivoluzionari» e gli elementi definiti «antisociali», che vengono perseguiti, arrestati anche per aver solo manifestato, torturati. Nel gennaio del 1992 il Consiglio di Stato cubano condanna a morte il dissidente Eduard Diaz Betancourt, e pochi mesi Indamiro Restano, leader di «Armonia», una delle più importanti organizzazioni di opposizione cubane, viene condannato a 10 anni di galera per ribellione». Intanto decine di oppositori cercano la libertà nelle ambasciate straniere a L'Avana. A volte ci riescono, altre no. Nel 1995 ben 40 organizzazioni di dissidenti creano un coordinamento, «Concilio cubano», che si prefigge di lottare per la democrazia sull'isola caraibica. Ma Fidel reagisce e 50 oppositori finiscono in carcere, tra cui tre giornalisti anticastristi: Ana Luisa Lopez, Juan Antonio Sanchez e Norma Brito. È il 7 gennaio del 1998 quando Elizardo Sanchez Santa Cruz, presidente della Commissione cubana per i diritti umani, detenuto in un carcere per otto anni, dal 1972 al 1989, denuncia che a Cuba i detenuti politici «certi» sono 482 e che le carceri e gli istituti di correzione sull'isola sono 300, di cui 45 «a regime duro». Un mese dopo Hector Palacios Ruiz, uno dei primi detenuti a essere liberato, racconta alla stampa di aver vissuto «un'esperienza atroce» in «celle luride». Nel marzo del 1999, dopo l'arresto del «Gruppo dei quattro», gli intellettuali Vladimiro Roca, Marta Beatriz Roque, René Gomez Manzano, Félix Bonne, imprigionati per aver affermato che nel paese comunista c'è una dittatura, Amnesty International commenta: «In tutta Cuba la libertà di pensiero e di espressione è ancora un'illusione e le cose non tendono a migliorare. È la solita vecchia storia». La crudeltà di Fidel non viene fermata nemmeno dagli scioperi della fame in prigione, né dalla visita di Giovanni Paolo II. Il cambiamento è solo un'illusione e gli oppositori continuano ad essere arrestati e torturati. E quando, nel maggio del 2002, il dissidente Vladimiro Roca lascia il carcere, afferma: «Non lo auguro al mio peggiore nemico. Adesso capisco perché Castro non ha voluto mostrare le carceri al Papa». La persecuzione della dittatura cubana non si è mai fermata, nemmeno dopo le visite di Papa Ratzinger e Papa Francesco. La malattia del vecchio Fidel ha portato ad allentare la presa, l'ascesa al potere del fratello Raul ha solo in parte «ammorbidito» il regime. Centinaia di dissidenti, però, sono ancora nelle galere cubane, fanno lo sciopero della fame, come lo psicologo e giornalista Guillermo Farinas, muoiono. E la fine dell'embargo voluto da Barack Obama non ha trasformato nella terrà della libertà l'inferno cubano, che nei suoi gulag ha lasciato marcire mezzo milione di persone,. 

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