Medici Senza Frontiere sempre in prima linea
Medici Senza Frontiere, una vita sul fronte. Sempre in prima fila. Siria, Israele, Gaza, Balcani, Yemen (dove un loro ospedale è stato recentemente bombardato ndr). L'emergenza profughi, la guerra dell'Isis, il Medico Senza Frontiere c’è sempre. Per tutti. Dottori in campo. Tanti italiani, tutti coordinati dal presidente di Msf (premio Nobel per la Pace 1999) Loris De Filippi. Abbiamo deciso di prendere in esame tre zone che in questo momento, per vari motivi, sono al centro delle cronache internazionali. E di raccontarvi cosa stanno facendo questi medici coraggiosi. Troppo spesso alle prese con gli ostacoli messi da chi sembra amare più la morte, la guerra, piuttosto che la vita. UCRAINA Nella Repubblica Popolare di Donetsk, nell'est del Paese, dall’inizio del conflitto tra ucraini e ribelli filorussi (maggio 2014), Msf è intervenuta donando 170 strutture sanitarie, medicazioni e forniture mediche per trattare feriti di guerra e pazienti con malattie croniche. Da marzo 2015 Msf ha effettuato, insieme alle autorità sanitarie locali, più di 85.000 consultazioni mediche attraverso 40 cliniche mobili, per fornire cure mediche in aree da cui medici e infermieri sono fuggiti o dove le farmacie hanno esaurito le scorte. Msf è praticamente l’unica organizzazione a fornire trattamenti per la tubercolosi nelle prigioni (attività svolta fin dal 2011), fornisce il 77% dell’insulina per i pazienti diabetici maggiorenni nell’area e il 90% dei prodotti per la dialisi, vitale per i pazienti che soffrono di insufficienza renale. Tutto questo deve fare i conti con le accuse mosse sui media dalle auto-proclamate autorità della Repubblica Popolare di Donetsk (Dpr) che troppo spesso prendono di mira le attività medico-umanitarie dell’organizzazione, accusandola anche di cattiva gestione di prodotti farmaceutici come gli psicofarmaci. CROAZIA Negli ultimi giorni migliaia di profughi hanno attraversato il confine serbo-croato. Msf si trova nell’area per offrire assistenza medica e beni di prima necessità e avverte che se non verranno urgentemente messe in atto misure di protezione adeguate, tantissime persone si ritroveranno in condizioni ancora più dure. Dopo la chiusura del confine ungherese con la Croazia e la decisione delle autorità slovene di ammettere un massimo di 2.500 persone al giorno – per una media di 5.000 persone in transito ogni giorno – migliaia di rifugiati sono rimasti bloccati in condizioni caotiche al punto di transito di Berkasovo/Bapska. Per molte ore, decine di pullman hanno continuato a portare sul lato serbo del confine persone provenienti dalla Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia (Fyrom) e dalla Grecia, ma non c’erano pullman per trasferirle in Croazia e questo ha creato un pericoloso collo di bottiglia con migliaia di persone ammassate al freddo nella zona di transito, senza ripari, assistenza o servizi igienico-sanitari. In serata finalmente le persone hanno potuto attraversare il confine, ma la situazione generale resta invariata. «Abbiamo visto tragedie sfiorate come questa anche a Idomeni, Presevo, Horgos, per l’effetto domino della chiusura delle frontiere europee. Con l’arrivo dell’inverno e l’abbassarsi delle temperature, tutti i Paesi che ospitano rifugiati e migranti devono come minimo organizzare condizioni di accoglienza e di transito che garantiscano la base per la sopravvivenza», ha dichiarato Aurelie Ponthieu, esperta di Msf per la migrazione. «A tarda sera, alcuni pullman hanno portato le persone in Croazia, ma il gioco dei numeri sulla scacchiera europea provocherà altre crisi». La notte precedente, il 18 ottobre, circa 1.500 persone tra cui famiglie, bambini e anziani hanno dormito all’aperto senza protezione dal freddo e dalla pioggia o coperti da teli di plastica: due cliniche mobili alla frontiera per fornire cure mediche di base e distribuire coperte, guanti e impermeabili. HEBRON A Hebron Msf sta assistendo un numero di pazienti cinque volte maggiore rispetto a un periodo di normale attività, in quella che è la più grande città della Cisgiordania (3 gli ospedali). Msf è in contatto con istituzioni locali e organizzazioni che sono state formate dall’organizzazione in passato in modo da offrire servizi di Pfa alle proprie comunità e segnalare i casi che necessitano di essere tenuti sotto controllo. «In queste condizioni, i nostri pazienti soffrono di paura, ansia, disturbi psicosomatici, rabbia, frustrazione e disperazione. I bambini bagnano spesso il letto; hanno paura di lasciare la loro casa e di andare a scuola, non hanno le forze per studiare e non riescono a concentrarsi», spiega Marcos Matias Moyano, psicologo di Msf a Hebron. Msf ha inoltre fornito farmaci, forniture mediche e attrezzature all’ospedale Alia (l’ospedale pubblico di Hebron) poiché il bisogno di cure da parte delle persone ferite sta crescendo velocemente. Allo stesso modo, MSF ha anche donato forniture sanitarie e mediche al Centro di beneficienza di Hebron: ha iniziato a lavorare a Hebron nel 1996. A Gaza, Msf fornisce assistenza medica, inclusa chirurgia, assistenza post-operatoria, medicazioni specialistiche, assistenza psicologica, riabilitazione e fisioterapia.