Giappone, si ripete l'annuale massacro di delfini a Taiji
La mattanza è iniziata questa mattina nonostante la condanna unanime di organizzazione animaliste e istituzioni mondiali. Tokyo si difende: è una tradizione
È iniziata questa mattina la terribilmente famosa strage di delfini nella baia di Taiji, in Giappone. Una pratica barbarica annuale che resta viva nonostante il mondo la condanni in modo unanime. Gli attivisti di Sea Shepherd, che si sono ribattezzati per l'occasione “i guardiani della baia”, hanno monitorato una zona vicina a Taiji, nel sud ovest del Giappone, ben sei mesi prima che iniziasse la stagione della caccia ai delfini, che quest'anno è iniziata prima. Non ci sono dati certi sul numero del massacro. Anche perché è una notizia che certamente non passa facilmente attraverso il muro di omertà che solitamente il Giappone erige attorno a questi argomenti. Gli attivisti hanno postato un video nel quale si vedono i pescatori che costringono i delfini “spalle al muro” per poi cominciare il massacro. La caccia ai delfini ha portato la piccola città di Taiji sotto i riflettori mondiali da quando un documentario da Oscar ha svelato l'orrore. I difensori della caccia selettiva sostengono che si tratti di una “tradizione locale”, che in Giappone vuol dire tutto e niente. Inoltre, è la stessa scusa usata per lo stermino delle balene. Politica che da quest'anno il governo di Abe ha rimesso in piedi, giustificandola come impresa scientifica e spiegando che le balene sarebbero “vittime collaterali”. Secondo i giapponesi le rimostranze occidentali sarebbero ridicole, visto che "ignorano le quantità di vacche, maiali e pecore macellate per soddisfare la domanda mondiale". I critici più attenti della pratica spiegano che non c'è neanche una ragione economica dietro questo massacro. La domanda di carne di delfino in Giappone è bassa, a causa del suo alto contenuto di mercurio. Già l'anno scorso gli Stati Uniti si erano schierati contro il massacro di delfini. L'ambasciatrice in Giappone, Caroline Kennedy, con un tweet espresse profonda preoccupazione per la disumanità della caccia. Finì bersaglio delle critiche dei gruppi più radicali e tradizionalisti del Sol Levante. Quest'anno la Kennedy ha preferito tacere. Persino da Hong Kong ci si è mossi per salvare il salvabile. Samuel Hung, attivista della “Hong Kong Dolphin Conservation Society”, ad agosto, ha portato 4mila firme al consolato giapponese perché si fermasse il massacro. La petizione è stata sottoscritta anche da gruppi locali e internazionali per i diritti degli animali, incluso il Jane Goodall Institute. Ma dal Giappone nessuna risposta. Anzi, dal 1 settembre, la caccia è stata legalmente ufficializzata.
Dai blog
Generazione AI: tra i giovani italiani ChatGPT sorpassa TikTok e Instagram
A Sanremo Conti scommette sui giovani: chi c'è nel cast
Lazio, due squilli nel deserto