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Tassi di interesse, la stretta monetaria continua. Germania in recessione

Gianluca Zapponini
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La solita Germania, che non perde mai il vizietto di fare la guastafeste. Proprio nel giorno di Jackson Hole, il simposio dei banchieri centrali organizzato dalla Federal Reserve. Non che ci fossero particolari dubbi sul fatto che Jerome Powell e Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, tirassero il freno a mano con decisione, però certo sentire i falchi tedeschi (la Germania, per la cronaca, è in recessione) infierire sui tassi fa sempre un certo effetto. E allora, ecco che il numero uno della Bundesbank Joachim Nagel frena sulla fine della stretta monetaria della Bce, rinviando le decisioni sui tassi a settembre.

«Penso che si ancora troppo presto per pensare ad una pausa» per quanto riguarda i rialzi dei tassi, ha sentenziato Nagel in un’intervista a Bloomberg Tv. Secondo Nagel, che è anche membro del board della Bce, la maggior parte degli effetti legati alle misure adottate da Francoforte negli ultimi dodici mesi saranno visibili nel corso del prossimo anno, anche se ha ricordato che il tasso di inflazione è ancora intorno al 5%, «quindi è troppo alto», poiché l'obiettivo è il 2%.

«C'è una strada da percorrere, ma dobbiamo aspettare i dati di settembre», ha detto il governatore della Buba, aggiungendo che mentre il tasso principale potrebbe diminuire, potrebbe volerci più tempo perché anche il tasso core diminuisca. D’altro canto, il presidente della Bundesbank ha assicurato di non vedere uno scenario di «atterraggio duro» per la Germania e si è mostrato «abbastanza ottimista» riguardo alla possibilità di un atterraggio al contrario morbido. Insomma, i tedeschi giocano a fare ancora i cattivi, ignorando forse il fatto che l’inflazione nell’Eurozona è in diminuzione da mesi. E respingendo l’accusa di essere i malati d’Europa. Peccato che i numeri smentiscano tutto questo, visto che l’Italia, almeno per quest’anno, crescerà a un ritmo decisamente più veloce di Berlino. Per il prossimo anno, invece, la partita è tutta da giocare. Guardando al summit nel Wyoming, il dilemma della Fed e della Bce è sempre lo stesso: quanto saranno disposte le due banche centrali a spingere le loro economie verso una recessione pur di raggiungere l’obiettivo di inflazione al 2%? Sebbene negli Stati Uniti l’inflazione sia già nettamente più bassa (al 3% a luglio) che nella zona euro (al 5,3%), in entrambi i casi l’ultimo miglio per arrivare al target desiderato è il più complesso e il compromesso per raggiungerlo potrebbe comportare una recessione in entrambi i blocchi. Rispetto, infatti, alle precedenti riunioni dove le banche avevano lasciato trapelare le loro future intenzioni, questa volta non è ancora chiaro se a settembre si potrà parlare di una pausa o di un rialzo per entrambe le banche centrali. 

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