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Agenzia delle Entrate, oltre mille miliardi di crediti vetusti da riscuotere

Gaetano Mineo
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Sono oltre mille miliardi di euro i crediti che l’Agenzia delle entrate vanta nei confronti dei contribuenti e che, allo stato attuale, non potranno mai arrivare nelle casse dello Stato. Una montagna di miliardi che da anni il Fisco riporta, puntualmente, nei suoi bilanci e dei quali non vedrà mai un euro. O quasi. Una sorta di atto dovuto che di certo non fa bene soprattutto alle imprese, quindi al Paese. Da qui l’indicazione del vicepremier, Matteo Salvini, per «una grande e definitiva pace fiscale» per liberare «milioni di italiani ostaggio da troppi anni dell’Agenzia delle entrate». La pace fiscale è sempre un tema controverso che suscita reazioni contrastanti. Ma un fatto è certo, e l’ha certificato lo stesso direttore dell’Agenzia delle entrate. «La progressiva stratificazione di crediti vetusti, non riscossi e di fatto in buona parte non riscuotibili – ha detto Ernesto Maria Ruffini ossia il "magazzino della riscossione", alla data del 31 dicembre 2022 ha raggiunto l’importo residuo di circa 1.153 miliardi di euro». Un «magazzino» da cui si può recuperare non più del 7%, secondo la Corte dei conti, ovvero circa 81 miliardi.

 

 

Sempre Ruffini, in audizione alla Commissione Finanze della Camera, ha spiegato che «l’attuale sistema si è mostrato foriero di criticità, condizionando la possibilità di migliorare ulteriormente i risultati dell'attività di recupero a mezzo ruolo e comportando l’esigenza, negli anni, di prorogare ripetutamente i termini di presentazione delle comunicazioni di inesigibilità ai diversi enti creditori». È indiscutibile che la pace fiscale ha punti a favore e contro. Come tutte le cose. Tuttavia, tra i vantaggi vi è il potenziale recupero di ingenti somme di denaro da parte dello Stato. La pace fiscale potrebbe rappresentare anche una possibilità per il contribuente di regolarizzare la propria situazione e partecipare in modo equo al sistema tributario. Inoltre, la pace fiscale potrebbe incoraggiare l’economia e stimolare gli investimenti. In altri termini, riducendo il carico fiscale su imprese e cittadini, si crea uno spazio maggiore per lo sviluppo economico. Intanto, il disegno di legge delega per la riforma fiscale, dopo essere stato approvato dalla Camera è pronto per approdare al Senato per la seconda lettura. Il provvedimento tocca tutti i tributi, diretti e indiretti, degli enti territoriali, doganali e sui giochi. Per l’Irpef si prevede la revisione di aliquote e scaglioni con la prospettiva dell’aliquota unica (flat tax). Ma questo è un obiettivo graduale di legislatura. L’Ires, che versano le società di capitali, sarà più bassa sulla quota di reddito che viene destinata a investimenti o assunzioni. Una parte importante della delega è riservata alla semplificazione dei procedimenti dichiarativi, accertativi, di riscossione e del contenzioso.

 

 

«È il primo grande passo verso la realizzazione di una riforma strutturale del fisco che l’Italia aspetta da oltre mezzo secolo», ha dichiarato il viceministro dell’Economia e delle Finanze, Maurizio Leo, definendo l’approvazione della delega fiscale alla Camera, «una pagina importante nella nostra storia del sistema tributario nazionale». Quanto alle procedure di accertamento, il nuovo fisco punta sul potenziamento della cooperative compliance e sull'istituzione del concordato preventivo biennale per i contribuenti, titolari di reddito di impresa o di lavoro autonomi, di minori dimensioni. Con quest’ultimo istituto, in sostanza, i contribuenti avranno la possibilità di aderire alla proposta che formula l’Agenzia delle entrate sulla base delle informazioni contenute nelle banche dati, per il pagamento delle imposte sui redditi per due anni. Eventuali maggiori o minori redditi imponibili rispetto a quelli proposti dall’Agenzia diventano irrilevanti ai fini del pagamento delle imposte, fermi restando gli obblighi contabili e dichiarativi.

 

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