Meno ricchezza se il 5G non decolla: sviluppo frenato
Il 5G costituisce una leva per lo sviluppo tecnologico in ambito industriale e per la produttività dei servizi da cui dipende e sempre più dipenderà la competitività dei singoli paesi. Questa tecnologia consentirà agli operatori di accogliere sulle reti una quantità di dati sempre più elevata e prestazioni «in tempo reale» necessarie a una vasta gamma di settori industriali. L’Italia è partita bene, organizzando in anticipo rispetto ad altri Paesi europei il piano per le frequenze e la gara per le concessioni delle frequenze. Oggi però questo vantaggio rischia di essere vanificato da un limite che il nostro Paese si è imposto nel 2003 e che nessun governo fino ad oggi ha modificato: un tetto alla potenza delle antenne cellulari pari a un centesimo di quello consentito e utilizzato nella maggior parte del mondo e negli altri paesi europei. L’Italia è al momento l’unico dei grandi stati comunitari a non aver adottato gli standard sui limiti elettromagnetici consigliati dall’Icnirp, la Commissione Internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti, e raccomandati dall’Unione europea fin dal 1999. Non è l’Europa a imporci vincoli ma il nostro Paese a metterli.
Limiti così bassi alla potenza delle antenne hanno conseguenze sulla capacità degli operatori di sviluppare rapidamente la rete 5G e quindi sulla capacità del Sistema Paese di rimanere sulla frontiera dell’evoluzione tecnologica e restare competitivo nei confronti dei concorrenti. Considerando che l’Italia è la settima nazione al mondo in termini di export, e seconda in Europa dopo la Germania in termini di valore aggiunto manifatturiero, il mancato adeguamento dei limiti elettromagnetici agli standard internazionali avrà una particolare rilevanza per quei settori industriali in cui il nostro Paese vanta oggi un primato sui mercati globali. Si tratta della produzione tessile, dell’abbigliamento e prodotti di metallo, i cui processi produttivi dipenderanno sempre di più dalle evoluzioni delle reti di telecomunicazioni, in particolare dalle reti 5G. Se il Belpaese mira a occupare un ruolo di primo piano nella partita europea e mondiale della competizione industriale è quindi necessario un cambio di passo per accelerare lo sviluppo delle reti di ultima generazione, in linea con le politiche degli altri paesi Ue. Il rischio concreto, viceversa, sarebbe quello di vedersi superati dai «cugini» francesi, terzi in Europa per export, e da manifatture emergenti come quelle di Polonia e Belgio.
Questo rischio è stato messo in luce dallo studio «Il 5G e la percezione dei rischi presso i cittadini», realizzato dall’Istituto per la Competitività (I-Com) in collaborazione con Wind Tre. La stima più recente sulla relazione tra 5G e Pil mondiale, pubblicata nel 2023 dal Gsma, l’organizzazione che rappresenta gli operatori di rete mobile in tutto il mondo, quantifica in 950 miliardi di dollari l’anno l’impatto positivo che le reti di quinta generazione garantiranno da qui al 2030. La necessità di cogliere queste opportunità di crescita e di centrare gli obiettivi di connettività fissati a livello europeo con il «5g Action Plan» e il «Connectivity Package» impongono di accelerare il dispiegamento delle reti. Probabilmente è anche per questo che il Governo ha più volte dichiarato l’intenzione di modificare i limiti elettromagnetici. Una prima bozza del decreto circolata nei giorni scorsi indicava in 24 V/m il nuovo valore di sicurezza cui attenersi nel caso di mancato raggiungimento di un’intesa con le Regioni. Un valore ancora molto più restrittivo rispetto a quello di 61 V/m adottato dalla maggior parte dei Paesi, capace quindi di preservare il principio di prudenza già adottato dal legislatore nel 2003 e al tempo stesso di agevolare gli investimenti per la realizzazione della rete. Dalla modifica normativa ci si aspetta un impatto positivo anche sull’ambiente e il paesaggio, perché limiti più ampi ridurrebbero l’esigenza di costruire nuovi impianti ed evitare così i relativi consumi energetici (una stazione di trasmissione della rete cellulare ha un consumo energetico pari a quello di 20 famiglie).
Ma come si attrezzano gli altri paesi per diffondere la rete 5G e sostenere la competitività dei propri sistemi produttivi? Lasciando da parte Cina e Corea del Sud, che viaggiano a velocità stratosferiche, un caso interessante è quello della Polonia, dove erano in vigore limiti uguali a quelli italiani fino a tre anni fa. Poi l’autorità per le telecomunicazioni, d’intesa con il governo, ha affidato alla società di consulenza americana Boston Consulting Group la valutazione degli effetti sul sistema industriale ed economico di limiti così bassi. E alla fine ha deciso di aderire alle linee guida internazionali, fissando i limiti ai valori raccomandati, cioè 61 V/m. La decisione è stata poi accompagnata da una serie di campagne informative a cura del Ministero per gli Affari Digitali, per far comprendere in maniera chiara e accessibile alla popolazione l’impatto delle infrastrutture di telecomunicazione, comprese le reti 5G, sull’ambiente e sui cittadini e rendere consapevole la collettività dell’utilità del cambiamento. L’adeguamento dei limiti elettromagnetici al resto dell’Europa rappresenta dunque un passaggio chiave senza il quale potrebbe essere compromessa la capacità dell’Italia di reggere il confronto competitivo a livello mondiale con quelle nazioni, come Francia e Polonia che hanno invece deciso di adeguare i limiti a quelli fissati dalla comunità internazionale e potenziare la propria capacità competitiva anche grazie alla tecnologia 5G.