Famiglie italiane senza più soldi: risparmi prosciugati per far fronte al carovita
L’inflazione mette in ginocchio le famiglie italiane. Sempre più povere e senza più capacità di mettere da parte qualche risparmio. Secondo la Cgia (l’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre) la fiammata inflazionistica non brucia tutti allo stesso modo e punta il dito sulle banche: «Il ritorno dell’inflazione ci ha consegnato, un Paese con banche più ricche e famiglie più povere. Nel 2022, infatti, gli istituti di credito del nostro Paese hanno totalizzato, al netto delle imposte, 21,8 miliardi di euro di utili, praticamente 8 miliardi in più rispetto al 2021 (+58%). I risparmi delle famiglie italiane, invece, tra il marzo dell’anno scorso e lo stesso mese di quest’anno hanno subito una riduzione pari a 25,2 miliardi di euro», denuncia l’ufficio studi dell’associazione Artigiani e Piccole Imprese, sottolineando che questo «è solo uno dei tanti effetti economici che ha colpito il nostro Paese a seguito dell’aumento dei tassi».
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Rispetto a un anno fa, oggi chi chiede un prestito o ha un mutuo a tasso variabile, «ha subito un aumento del costo del denaro molto importante, assicurando, nel contempo, un vantaggio economico in particolar modo a chi per mestiere presta denaro», cioè «le banche», spiega l’associazione. Diversamente, i tassi di interesse attivi, ovvero quelli praticati sui depositi bancari, sono rimasti pari a zero. Una situazione, con una inflazione quasi a due cifre, che, secondo Cgia, «ha contribuito a erodere i nostri risparmi». Inoltre, l’impennata dell’inflazione «ha costretto molti nuclei familiari ad attingere dai risparmi le somme necessarie per fronteggiare il carovita».
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L’effetto combinato di questi due aspetti economici secondo l’associazione ha alleggerito il conto corrente degli italiani di oltre 25 miliardi di euro. A fronte di questi dati, le richieste che Cgia fa al governo sono chiare, e riecheggiano quelle avanzate anche dai sindacati nel corso dei vari round di confronto a Palazzo Chigi. Da un lato, il rinnovo dei contratti scaduti da anni, unica alternativa all’aumento dei tassi. Dall’altro, l’associazione esorta invece ad intervenire sugli extraprofitti, con «una politica redistributiva che tolga qualcosa ai settori che da questo scenario hanno realizzato extraprofitti importanti - creditizio, energetico, farmaceutico - distribuendoli, sotto forma di riduzione delle imposte erariali, al ceto medio che non ha ancora beneficiato di alcuna riduzione del carico fiscale».
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