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L'Italia resta il Paese delle tasse: metà reddito al fisco. E si paga di più al Sud

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Dal 2005 al 2022 pressione salita al 43,5%

Gianluca Zapponini
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Si scrive Italia, si legge tasse. Nessuna ironia, bensì pura e semplice realtà. Almeno a sentire i piccoli imprenditori, gli artigiani riuniti nella Cna, per la precisione. Secondo i quali tra il 2005 e il 2022 la pressione fiscale in Italia è cresciuta fino a raggiungere il 43,5% lo scorso anno, registrando una lieve flessione solo tra il 2016 e il 2018 (42,1%). Tradotto, quasi metà del reddito se ne va in tasse.

Bisogna però fare dei distinguo, perché ogni categoria di lavoro, ogni comparto produttivo, ha il suo carico tributario da sopportare. Come sottolinea la stessa Cna, infatti, il dato della pressione fiscale nazionale non è rappresentativo del peso fiscale che grava sui redditi delle piccole imprese. Il report diffuso dagli artigiani evidenzia infatti che in Italia non esiste una pressione fiscale, ma tante pressioni fiscali a seconda della natura del soggetto che realizza il reddito (persona fisica, società di persone o di capitali), nonché della natura del reddito stesso (reddito di lavoro dipendente, reddito di lavoro autonomo o d’impresa). E dunque, «a seguito della spinta verso un federalismo fiscale più marcato, avvenuta tra il 2009 e il 2014, la pressione fiscale risulta variare di molto anche sulla base della localizzazione dell’attività produttiva».

Non è tutto. Sempre secondo l’osservatorio della Cna, tra il 2019 e il 2021 inizia a registrarsi una spinta verso il basso del Total Tax Rate (Ttr, un’aliquota fiscale totale che misura, in percentuale, la somma di tutte le imposte e contributi obbligatori a carico delle imprese) nella misura dello 0,4% passando dal 60,6% al 60,2% fino ad arrivare alla «rilevante riduzione» di ben 7,5 punti percentuali nel 2022. In particolare, la riduzione dell’ammontare delle tasse e dei contributi obbligatori che le imprese devono pagare, dopo aver conteggiato le deduzioni e le esenzioni consentite, è legata a una combinazione di fattori positivi quali tributi locali, conseguente alla decisione dei Comuni di applicare aliquote più basse al reddito complessivo su cui calcolare l’Irpef. Per questo il fisco in Italia non è uniforme, anzi. «La decisione di ridurre la pressione fiscale agendo sui tributi locali deducibili dal reddito d’impresa sta portando il sistema tributario a un nuovo riequilibrio tra la tassazione erariale e quella locale.

Le tasse che pagano le imprese è tuttavia diversa da territorio a territorio a causa della Tari e delle rendite catastali. Un’azienda di Agrigento paga tasse per il 58% contro il 46,7% di Bolzano». In pratica, un’impresa della città siciliana deve lavorare un mese in più per far fronte al carico fiscale rispetto al comune trentino.

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