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In pensione con 41 anni di contributi ma si esce solo a 61 o 62 di età

MANOVRA: OK SPENDING REVIEW, VERSO SUPER INPS

Come si lascerà il lavoro nel 2023

Filippo Caleri
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Per ora sono solo ipotesi di lavoro. Ma il governo che formalmente  ancora non c'è ha già messo mano al cantiere previdenziale. Non c'è tempo da perdere perché il primo gennaio del 2023 senza una riforma tornerà in vigore la legge Fornero. Che prevede l'uscita per vecchiaia a 67 anni. Una norma che soprattutto la Lega ha promesso di eliminare definitivamente nel corso dell’ultima campagna elettorale. In realtà il lavoro per aggiornare le regole per lasciare il posto non si è mai chiuso perché i tavoli tecnici al ministero del lavoro hanno sempre vagliato tutte le ipotesi e fatto i calcoli in attesa di indicazioni politiche. Che ora, dopo la consultazione elettorale, iniziano a diventare più concrete.

 

Non a caso ieri il leader della Lega Matteo Salvini ha riunito i suoi uomini più ferrati in economia a Montecitorio, tra cui Giancarlo Giorgetti, Roberto Calderoli, i capigruppo Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari, il responsabile del Dipartimento Lavoro del partito Claudio Durigon, per fare il punto sui principali dossier economici. E su tutti «è stato affrontato il tema delle pensioni con l’obiettivo di superare la legge Fornero» hanno spiegato fonti della maggioranza. La linea non è definita ma nelle intenzioni del Carroccio il faro resta sempre la Quota 41. Cioè l’uscita secca con 41 anni di versamenti a prescindere dall’età anagrafica.

 

 

Una promessa che si scontra però con il mutato quadro delle condizioni economiche. L’inflazione così elevata infatti sottoporrà il bilancio pubblico del 2023 a uno sforzo aggiuntivo per adeguare gli assegni pensionistici al tasso d'inflazione che viaggia poco sotto il 9 per cento.

 

 

Una situazione che lascia poco spazio di manovra per attuare Quota 41 senza limiti. Così anche per evitare stop e critiche da Bruxelles che considera la spesa per la previdenza nella categoria di quella improduttiva una delle strade allo studio è di affiancare ai 41 anni di versamenti  una soglia d’età  individuata a 61 o 62 anni. Una scelta di opportunità da considerare tappa intermedia ma consentirebbe di ridurre l’impatto previsto da Quota 41 senza soglia che richiederebbe un budget di circa 5 miliardi il primo anno per crescere negli anni successivi fino a nove. Si tratterebbe di uno primo step certo. Ma l’idea potrebbe risultare debole sul piano politico. Una proposta del genere sarebbe percepita come poco innovativa: fissando l’età a 60 anni, o a 61, non si farebbe altro che replicare Quota 101 o l’attuale Quota 102. 

 


Se questa è la direzione sulla quale il nuovo esecutivo inizierà a lavorare già nella prossima legge di Bilancio sicuramente l’idea di Opzione uomo, e cioè la copia dell’uscita anticipata prevista oggi per le donne, con assegno ridotto perché calcolato con il contributivo e alla fine pari a circa il 50% dell’ultimo stipendio, non ha raccolto grandi entusiasmi. A bocciarla è stato il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini: «Mandare in pensione le persone riducendogli l’assegno non mi pare sia una grande strada percorribile. Credo che il tema sia quello di affrontare la complessità del sistema pensionistico». E a confermare che il ricalcolo dell’assegno con il metodo contributivo non sia una soluzione efficace è la certificazione del flop di Opzione donna fatta ieri dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico che, in occasione della presentazione del XXI rapporto annuale ha spiegato che «rispetto alla platea, l’opzione donna ha avuto un tiraggio del 25%, un dato che dimostra che la scelta è stata fatta da meno di un terzo delle aventi diritto. È una scelta: tutti sanno che col modello contributivo, se si va in pensione prima, si va con un minore assegno pensionistico. È normale nel nostro modello contributivo, lo abbiamo dal 1995, lo abbiamo riconfermato con la riforma Fornero». L'indicazione che arriva da chi è alle soglie dell'uscita pare chiara.

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