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Guerra Ucraina, nel carrello solo i prodotti a basso costo: le disastrose conseguenze della guerra

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Andrea Pasini
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Le forti pressioni sui costi delle materie prime, soprattutto energetiche, e lo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina hanno rimesso in discussione tutte le previsioni di ripresa fatte lo scorso anno. Questo secondo shock, a soli due anni dalla diffusione del coronavirus, sta alimentando una grande incertezza che non può che colpire il largo consumo.

Secondo i dati pubblicati da IRI, quest' anno le famiglie spenderanno dai 125 ai 200 euro in più per fare la spesa al supermercato, mentre la grande distribuzione perderà dal 2,5% al 3,6% dei volumi venduti. Si fanno così strada due scenari diversi che partono dallo stesso livello di pressioni sui fattori di produzione, in termini di rincari dei costi energetici e delle materie prime, ma si differenziano per le risposte fornite dai produttori e dai distributori per far fronte alla crisi dei costi che preme sui bilanci aziendali. Io sono Andrea Pasini un imprenditore di Trezzano Sul Naviglio e per spiegare questi due scenari dobbiamo partire dall'idea che l'inflazione media continuerà a salire, fino a crescere tra il 4,2% e il 5,8% su base annua, comportando un aumento dei prezzi dei prodotti di largo consumo che a parità di carrello della spesa, costringerà gli italiani a spendere dall'1,6% al 2,2% in più rispetto al 2021.

Dietro questo scenario ci sono un settore produttivo che nel food deve affrontare maggiori costi e maggiori incertezze (soprattutto sul reperimento delle materie prime e sulla tenuta delle filiere), e un mondo della distribuzione che deve rispondere alle esigenze di convenienza di uno shopper più attento che mai ai prezzi e che percepisce un aumento dell'inflazione maggiore di quello reale perché lo calcola sui prodotti ad alto prezzo che mette maggiormente nel carrello della spesa, e che ora sono i più bersagliati, come gli oli, gli avicoli e le carni suine.

Cosa significa tutto questo? I consumatori rivedranno le loro scelte d'acquisto, privilegiando negozi, marchi e prodotti meno costosi. Sempre secondo IRI, cresceranno i private label (+1,4% di quota nelle prime nove settimane del 2022), i discount (+7,9% le vendite) e gli ipermercati (+1,3%), così come i prodotti standard (+0,6%). Si prevede un forte calo invece per le grandi marche (-0,6% le prime cinque) e i prodotti superpremium e premium (-0,4%).

A pesare sulle scelte dei consumatori saranno anche l'attenzione a evitare sprechi, la riduzione degli acquisti non necessari e la minor propensione a fare scorte. E poi, non va dimenticato il taglio delle promozioni proposte dai retailer, che, già nelle prime nove settimane del 2022, ha fatto perdere alla Gdo 110 milioni di euro di incassi. E questo ha colpito soprattutto le grandi marche premium, che, alla luce del trading down del consumatore, potrebbero rivedere le strategie di innovazione riprese nel 2021.

Rallenterà anche il fenomeno e-commerce (+2,3% le vendite contro il +175% dello scorso biennio) e dal punto di vista distributivo vedremo anche un inasprimento della concorrenza orizzontale. I primi cinque retailer controlleranno il 57% del mercato (+6% rispetto al 2019), con i primi cinque discounter al 17% (+2,5%).

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