le pessime stime

La guerra in Ucraina fa tremare l’Italia: doccia fredda sul Pil dal Fondo Monetario Internazionale

La guerra spingerà verso il basso di quasi un punto l’economia mondiale fra quest’anno e il prossimo. La stima viene dal World Economic Outlook preparato dal Fondo Monetario Internazionale. Secondo il rapporto, la crescita a livello globale si fermerà quest’anno al 3,6% con un calo dello 0,8% rispetto alla stima del 4,4% di gennaio. Un altro 0,2%, portando così il totale della perdita all’1%, verrà perso l’anno prossimo quando l’aumento dell’economia globale si fermerà al 3,6%. 

 

  

 

Le stime per l’Italia indicano una crescita del 2,3% nel 2022 rispetto al 3,8% stimato a gennaio. Il taglio è pari all’1,5%. Per il 2023 la crescita si ferma all’1,7% con una riduzione dello 0,5% rispetto alle indicazioni di gennaio. Per capire l’ampiezza della caduta basterà ricordare che lo scorso anno il Pil del nostro Paese è salito del 6,1%. Inoltre a inizio aprile, il governo ha indicato al 3,1% l’obiettivo di quest’anno. Nell’Eurozona i tagli più consistenti riguardano Germania e Italia, con i loro «settori manifatturieri relativamente grandi e con la maggiore dipendenza dalle importazioni di energia dalla Russia», si legge nel rapporto. 

 

 

Ovviamente i crolli più vistosi avranno come protagonisti i Paesi in guerra. L’Ucraina dovrebbe perdere il 35% quest’anno e un valore che l’Fmi non si sente in grado di stimare per il 2023. La Russia, è prevista in calo dell’8,5% quest’anno e del del 2,3% nel 2023. La Bielorussia andrà giù del 6,4%. Il vero pericolo però è rappresentata dall’inflazione che, avverte il Fmi, rappresenta il livello più alto in oltre 40 anni, in un contesto di mercato del lavoro in tensione. Per il 2022, l’aumento dei prezzi è stimato al 5,7% (più 1,8% sulle previsioni di gennaio) e 8,7% nei Paesi emergenti (più 2,8%) Nell’Eurozona il dato è del 5,3% nel 2022 e al 2,3% nel 2023. Negli Usa, rispettivamente al 7,7 e al 2,9%. L’inflazione sui prodotti alimentari resterà alta anche nel 2023, per l’impatto ritardato dei mancati raccolti. Inoltre «i rincari di cibo e carburante possono aumentare significativamente la prospettiva di disordini sociali nei Paesi più poveri».