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Fisco e tasse, comunque vada restiamo schiavi: nel 2021 la pressione ha toccato il record

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Filippo Caleri
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Scenderà. Ma di poco. Gli italiani restano sempre un popolo vessato dal fisco. E se l'anno scorso la pressione dell'erario in Italia ha toccato il record storico del 43,5 per cento del Pil, quest' anno la consolazione è ben magra. Si avrà un calo. Ma solo per portare la percentuale al 43,1 per cento della ricchezza prodotta. Attenzione ai numeri in valore assoluto. Le stime contenute nell'ultimo Documento di economia e finanza approvato la scorsa settimana indicano che lasceremo nelle casse dello Stato oltre 811 miliardi di euro rispetto ai 772 dello scorso anno. Tradotto ancora meglio per far comprendere la voracità del nostro socio occulto, lo Stato appunto, significa che solo il prossimo 7 giugno (un giorno prima di quanto successo nel 2021) gli italiani celebreranno il tanto sospirato giorno di liberazione fiscale (o per chi preferisce la lingua della perfida Albione il «tax freedom day»).

In altre parole, dopo più di 5 mesi dall'inizio del 2022 (pari a 157 giorni lavorativi inclusi i sabati e le domeniche), il contribuente medio italiano smetterà di lavorare per pagare tutti gli obblighi fiscali dell'anno (Irpef, Imu, Iva, Tari, addizionali varie, Irap, Ires, contributi previdenziali, etc.) e dal 7 giugno inizierà a guadagnare per se stesso e per la propria famiglia. Il calcolo del momento esatto nel quale si spezzeranno le catene è stato fatto ieri dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre. Che spiegano anche fanno che l'elaborazione del «contatore» è un puro esercizio teorico; tuttavia, questa analisi è interessante perché dà la dimensione, quando la si compara con i risultati degli altri paesi europei, di quanto sia spaventosamente elevato il prelievo fiscale e contributivo in capo ai contribuenti italiani. Guardando la serie storica che è stata ricostruita fino al 1995, il giorno di liberazione fiscale più «precoce» è stato nel 2003.

In quell'occasione, la pressione fiscale si attestò al 39 per cento e ai contribuenti italiani bastò raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per scrollarsi di dosso tutte le scadenze fiscali. Osservando sempre il calendario, quello più in «ritardo», si è registrato nel 2021, quando la pressione fiscale ha raggiunto il repossibile effettuare una comparazione con i paesi Ue) i contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino al 5 giugno (quasi 157 giorni lavorativi), vale a dire 4 giorni in più rispetto alla media registrata nei Paesi dell'area euro e 6 se, invece, il confronto è realizzato con la media dei 27 Paesi che compongono l'Unione europea.

Se si confronta il «tax freedom day» italiano con quello dei nostri principali competitori economici, solo la Francia presenta un numero di giorni di lavoro necessari per pagare le tasse nettamente superiore (+19), mentre tutti gli altri hanno potuto festeggiare la liberazione fiscale in anticipo. In Germania, ad esempio, questo è avvenuto 5 giorni prima che da noi, in Olanda 11 e in Spagna 20. Il paese più virtuoso è l'Irlanda; con una pressione fiscale del 20,7 per cento, i contribuenti irlandesi assolvono gli obblighi fiscali in soli 76 giorni lavorativi, cominciando lavorare per se stessi il 16 marzo: 81 giorni prima rispetto al nostro «tax freedom day».

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