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Parigi vuole i nostri risparmi: C'è la guerra ma il business non va in vacanza. Ecco i rischi per gli italiani

Filippo Caleri
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C'è la guerra ma il business non va in vacanza. E nemmeno la voglia di approfittare della situazione di debolezza dell'economia per fare shopping di Made in Italy. Così, dopo le avances dello spagnolo Florentino Peres, che con il suo gruppo Acs insieme al consorzio dei due fondi Gip e Brookfield, ha messo gli occhi su Atlantia, giovedì scorso si è palesato un possibile colpo ancora più duro all'assetto bancario italiano. E cioè la salita, nel capitale della Banca Popolare di Milano, da parte del Crédit Agricole. Istituto francese che da anni corteggia, compra e inghiotte, bocconi prelibati del nostro sistema creditizio.

All'improvviso, comprando in Borsa i titoli, i transalpini hanno annunciato l'acquisto di una quota del 9,2% della banca, con l'obiettivo di consolidare «la relazione strategica e di lungo termine» che ha il suo fulcro nella joint-venture nel credito al consumo Agos ma anche di «ampliare» la partnership con l'istituto guidato da Giuseppe Castagna ad altri ambiti, quali la gestione del risparmio e la bancassicurazione.

Una mossa che prefigura un disegno più alto e non sconosciuto agli addetti ai lavori. Cioè comprarsi, a tempo debito, l'intera proprietà. Già, ognuno fa il suo mestiere e, chi ha soldi, compra. Ma in questo caso l'attenzione da porre deve essere massima. Pur essendo all'interno di un unico spazio bancario comune, l'Europa continua a essere un luogo dove gli interessi nazionali continuano a prevalere.

Così, nonostante le buone intenzioni, se i francesi avessero iniziato una scalata paziente e silenziosa alla totalità della Bpm, si creerebbe a fusione avvenuta, la seconda più grande banca del Nord Italia. Che in termini strategici significa legare il destino delle nostre aziende, spesso competitor di quelle d'Oltralpe, a un gruppo che mantiene la testa a Parigi. E che avrebbe un grosso vantaggio competitivo: finanziare la raccolta di fondi sul mercato finanziario francese, dove i costi sono più bassi, e rivendere lo stesso denaro in Italia a prezzi più convenienti, spiazzando la concorrenza italiana. Fin qui il mercato. Non va dimenticato invece l'aspetto politico dell'operazione.

La Francia rileverebbe un asset strategico italiano diventando gestore di una fetta rilevante di Btp e, più generalmente di risparmio italiano, detenuto dalle famiglie della parte più ricca del Paese. Basta tornare al 2011, e alla vendita improvvisa da parte delle banche tedesche dei titoli italiani con contestuale crisi dello spread, per comprendere il pericolo che correrebbe l'Italia. Non sono idee complottistiche.

Lo stesso Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza, le ha suffragate nella relazione trasmessa al Parlamento nel 2020, dove evidenziava proprio il pericolo del trasferimento della proprietà bancaria italian all'estero. Alla pagina 27 si legge: «Il trasferimento all'estero di tali istituti potrebbe generare un'asimmetria geografica tra la fase di raccolta e quella di impiego delle risorse: i depositi raccolti dalla clientela italiana potrebbero essere destinati a finanziare imprese o attività di soggetti esteri, a discapito della competitività delle imprese nazionali o dell'intero tessuto nazionale o addirittura a sostegno di attività palesemente concorrenziali con i players industriali e produttivi del Paese»

. Il faro è stato dunque già acceso. I poteri della golden power ci sono e potrebbero essere anche ampliati. L'attenzione deve essere massima perché in ballo ci sono, da una parte i soldi degli italiani, protetti dalla Costituzione, dall'altro l'attivismo della Francia che da anni acquista senza sosta quote rilevanti del nostro mercato bancario. Da poco la «Banca Verde» (così si chiama il Credit agricole) si è accaparrato il Credito Valtellinese. La Banca Popolare di Milano potrebbe essere un altro tassello di questa strategia. E che la Bpm sia un gioiellino a sconto il mercato lo sa. Il Fondo Davide Leone&Partners, azionista di peso nell'istituto, considera da tempo sottovalutato il valore della banca e ipotizza che con diversa strategia possa esprimere parte del suo potenziale nascosto. I risparmiatori attendono.

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