il nodo previdenza
Pensione contributiva da fame. Tagli fino al 30% e oneri irragionevoli per il lavoratore
A ogni dibattito sul tema pensioni la proposta esce sempre. Ed è sempre la stessa: condizionare l'uscita anticipata di chi è ancora al lavoro al ricalcolo contributivo. E cioè all'applicazione del metodo adottato ai contributi versati dal 1995 anche a quelli precedenti. Uno scambio tempo contro denaro che in linea di principio ha una sua ragione economica ma che significa un taglio delle prestazioni che la Cgil, con un'analisi del suo Osservatorio della previdenza e della Fondazione Di Vittorio, ha quantificato. Lo sconto applicato può produrre un taglio importante e iniquo, che potrebbe arrivare a superare il 30% dell'assegno lordo. La ricerca ha preso a riferimento diversi casi, tutti «misti», cioè con un'anzianità contributiva inferiore ai 18 anni di contribuzione al 31 dicembre 1995, situazione che non consente la piena applicazione del più generoso metodo retributivo. «Per una retribuzione di 20 mila euro lorde e con 30 anni di contribuzione complessiva, con una carriera lineare e 15 anni di contribuzione al 31 dicembre 1995, la pensione lorda mensile passerebbe da 870 euro con il sistema misto a 674 euro con il ricalcolo contributivo, un taglio pari al 22,6%. Una differenza che in questo caso per un soggetto che anticipa a 64 anni l'uscita con il ricalcolo contributivo peserebbe per 19.344 euro di pensione in meno nell'intero periodo di pensionamento» ha spiegato il responsabile Politiche previdenziali della Cgil nazionale Ezio Cigna. «Il metodo di ricalcolo non è equo - sostiene Cigna - e determinerebbe un vantaggio per lo Stato, imponendo un onere irragionevole al lavoratore nel caso di anticipo della pensione, come oggi già avviene con Opzione Donna».
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Secondo le simulazioni effettuate «non cambia molto se si prende a riferimento un reddito superiore a 30mila euro lorde alla cessazione, con 38 anni di contribuzione. La pensione lorda da 1.605 euro passerebbe a 1.376 euro, una differenza di 229 euro, pari al 14,2% sul totale della pensione, con un'incidenza pari al 32,7% sulla quota retributiva. In questo caso la forbice del mancato incasso a 82 anni (attesa di vita media) è pari a 8.151 euro». Per il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli «è importante realizzare un sistema previdenziale più flessibile che consenta alle persone di accedere in anticipo alla pensione rispetto ai 67 anni attualmente previsti, ma senza imporre condizioni vessatorie come già avviene con Opzione Donna. Dopo mesi di immobilismo sui temi previdenziali - sostiene - la convocazione delle organizzazioni sindacali da parte del Governo per il prossimo lunedì è un fatto positivo, certamente frutto del la nostra mobilitazione messa in campo in questi mesi».
«L'incontro - ha concluso il dirigente sindacale - sarà l'occasione per capire se effettivamente c'è la volontà da parte del Governo di avviare un confronto vero con il sindacato, e non un semplice ascolto, con l'obiettivo di superare le rigidità della legge Fornero e ripensare un sistema previdenziale basato su elementi di equità e solidarietà, come sosteniamo da tempo con la piattaforma unitaria». Domani dunque il tavolo a Palazzo Chigi guidato in prima persona da Mario Draghi inizierà a mettere in campo le ipotesi per il 2023 visto che, per ora, la soluzione individuata per il prossimo è la quota 102 cioè 64 anno e 38 di contributi.