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Tim e il fondo Usa Kkr, gli americani pronti a prendersi Tim

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Filippo Caleri
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L'offerta del fondo statunitense Kkr per rilevare il controllo di Tim è stata formalmente analizzata ieri da un lungo cda dell'azienda guidata da Luigi Gubitosi. È un'Opa amichevole che prevede un prezzo di 0,505 euro per ogni azione ordinaria e di risparmio e che rappresenta un premio del 46% rispetto agli 0,3465 euro con il quale le ordinarie di Telecom hanno chiuso la seduta venerdì scorso. Con questi valori la compagnia è valutata complessivamente circa 11 miliardi di euro, il 60% in più del valore attuale del gruppo e l'obiettivo dichiarato è quello di fare uscire il titolo Tim dalla quotazione borsistica (dunque al cosiddetto delisting).

Questo anche se la soglia minima stabilita dal fondo Usa per portare a termine la propria proposta, che al momento è «non vincolante e indicativa», è quella di raggiungere un'adesione pari ad almeno il 51% del capitale. L'offerta è comunque condizionata a una due diligence che durerà quattro settimane. Al board, Kkr ha qualificato le proprie intenzioni come «amichevoli» e subordinate «al gradimento degli amministratori della società e del supporto del management», nonché «al gradimento dei soggetti istituzionali rilevanti», visto che la principale compagnia telefonica del Paese è soggetta ai poteri speciali del «golden power». E dall'esecutivo il segnale che con la dovute cautele il dossier potrebbe arrivare in porto è arrivato nella serata di ieri a cda concluso.

«Il Governo prende atto dell'interesse per Tim manifestato da investitori istituzionali qualificati. L'interesse di questi investitori a fare investimenti in importanti aziende italiane è una notizia positiva per il Paese. Se questo dovesse concretizzarsi, sarà in primo luogo il mercato a valutare la solidità del progetto» ha affermato il ministero dell'economia in una nota.

«Il governo seguirà con attenzione gli sviluppi della manifestazione di interesse e valuterà attentamente, anche riguardo all'esercizio delle proprie prerogative, i progetti che interessino l'infrastruttura» ha poi precisato la stessa nota perché «l'obiettivo è assicurare che questi progetti siano compatibili con il rapido completamento della connessione con banda ultralarga, secondo quanto prefigurato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con gli investimenti necessari nello sviluppo dell'infrastruttura, e con la salvaguardia e la crescita dell'occupazione».

Non è stata solo una frase di circostanza. Palazzo Chigi e il ministero di via XX settembre hanno deciso di seguire attentamente lo sviluppo del dossier attraverso un comitato ad hoc. «A seguire i diversi aspetti della vicenda sarà un Gruppo di lavoro composto dagli esponenti di governo titolari delle competenze istituzionali principalmente coinvolte, oltre che dalle amministrazioni e da esperti» ha concluso la nota. Nessuna indicazione ulteriore ma a confermare la serietà dell'intenzione di marcare stretto Kkr i nomi ipotizzati nel gruppo, tra quali ci sarebbero il ministro dell'Economia Daniele Franco, quello dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti e dell'Innovazione digitale, Vittorio Colao.

Resa trasparente l'offerta di Kkr nella quale il prezzo è meramente indicativo si apre la partita dei posizionamento dei soci. I retroscena parlano di manovre ostruzionistiche da parte del primo socio rilevante nella compagine azionaria e cioè la Vivendi di Vincent Bollorè. Obiettivo dei francesi, oltre alla critica all'attuale ad Luigi Gubitosi, anche l'allungamento dei tempi della procedura di analisi da parte degli americani.

Assalti per ora respinti. Ma la guerra è solo agli inizia. Fino alla mattinata di ieri, Vivendi aveva ribadito di essere «un investitore di lungo termine» sin dall'ingresso iniziale nel gruppo e aveva confermato «la volontà di lavorare al fianco delle autorità italiane e delle istituzioni pubbliche per il successo a lungo termine».

La compagnia aveva inoltre «negato fermamente di avere avuto discussioni con qualsiasi fondo e, più specificamente, con Cvc», per avanzare un piano alternativo da contrapporre a quello di Kkr. Lo stesso Cvc, in tandem con il fondo Advent ha negato contatti con Vivendi, primo azionista della compagnia telefonica con il 23,5% circa, però contemporaneamente i due fondi si sono detti «aperti a discutere con tutti gli stakeholders per trovare una soluzione di sistema per il rafforzamento di Tim».

Un segnale che apre alla possibilità di un'asta competitiva per accaparrarsi la società e che si incrocia anche con il suo destino industriale. Alla finestra c'è sempre la Cassa depositi e prestiti, socio di Tim con il 9,8% e che ha in pancia anche il 60% di Open Fiber, azienda pubblica, che sta cablando la rete veloce in Italia. Un elemento, questo non indifferente nella soluzione della partita che potrebbe chiudersi con una rinazionalizzazione light della rete telefonica, strategica sia perla sicurezza nazionale sia per lo sviluppo competitivo del Paese, visto che la sua difesa da parte dei privati non è stata efficace.

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