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Leggero ed evanescente, il fondo per tagliare le tasse scontenta tutti: poca incidenza su Irpef e Ires

Vittorio Emanuele Falsitta
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Il Fondo pluriennale per la riduzione della pressione fiscale (art. 1 comma 2 della l. 178/20) – così si chiama il congegno pensato dal Governo - è, avanti a tutto, un fatto. Come tale, vi sono tanti modi per esplorarne il significato. Ne proponiamo due: come fatto politico interno e come fatto politico esterno. Nel primo caso il Fondo è un mezzo carico di coerenza e ambiguità; anzi, la sua coerenza sta nell’essere «opportunamente ambiguo», dunque, molto politico. Ad esempio, non è chiaro se esso sia collegato alla delega fiscale oppure sia cosa diversa. Dalla lettura del testo in circolazione e dalla dotazione finanziaria, sembrerebbe non essere collegato alla prima. La delega, infatti, stabilisce che dalla revisione del sistema fiscale non debbano derivare maggiori oneri per l’erario; il fondo, viceversa, raccoglie, per fini analoghi, 8 miliardi di euro (2+6). Un’ambiguità utilissima poiché consente fenomeni di bilocazione giuridica, crea nuovo spazio da superfici occupate.

 

 

Della delega – e qui la coerenza è per uniformità – il fondo ha le assenze. I silenzi. L’amputazione di ogni aspettativa di decisività. Insomma, se la delega è azione afasica, poiché non dichiara un cambiamento nell’impianto tributario (cioè, tace) e devia verso un esercizio routinario di messa a punto (revisione), il fondo opta per la medesima linea. Non vincola a tipi, ma con «appositi provvedimenti normativi (si legge al comma 1 del testo)» - rimessi, tra l’altro, a un Parlamento in liquidazione – adotta una scelta indecisa, vaga, pericolosamente ariosa, che equivale, ancora una volta e coerentemente, alla rinuncia a decidere sopra un mutamento essenziale. Come fatto politico esterno, invece, crediamo che la coerenza tenda a venire meno quasi del tutto, poiché, ammesso resista alla manomissione di forze parlamentari disordinate, il Fondo è candidato a scontentare chiunque.

 

 

Senza paragonarci agli americani i quali, si sa, fanno le cose in grande (l’American families plan di Biden propone un investimento di 1.800 miliardi di dollari), i nostri 8 miliardi di euro, destinati all’operazione di riduzione della pressione fiscale sui fattori produttivi, sembrano uno sforzo eccessivamente modesto. Le due imposte da «abbattere», invero, raccolgono circa 210 miliardi (circa 187 per l’Irpef e 23 per l’Irap) e la dotazione finanziaria, sparsa un po’ qui e un po’ là, potrebbe, ragionevolmente, non tradursi in risultati rilevanti nel contesto sociale. Si potrebbe obiettare che altri 8 miliardi, però, saranno stanziati anche il prossimo anno, ma, come dice Lorenzo de’Medici, del doman non v’è certezza.

 

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