la crisi

Fisco, pagamenti e rincari: ecco cosa spaventa le imprese

Gianluigi Paragone

Anche l'altro giorno mi sono ritrovato nel mezzo di una discussione tra piccoli imprenditori. Nessun talk show. Ma una sana chiacchierata al bar, davanti al caffè.

I temi veri e le preoccupazioni di questa gente non gira attorno al green pass, per quanto il lasciapassare intasi le discussioni di palazzo. «È una rottura di scatole in più da dover gestire, come se già non bastasse la burocrazia normale».

  

Per carità i talebani del green pass esistono e non ne fanno mistero ma sono parecchi anche coloro che pensano al rovescio della medaglia. Nei capannoni si ragiona sempre con diffidenza verso le scelte del Palazzo, è una diffidenza che tocca anche Mario Draghi.

«Davvero si stanno adoperando per consentirci di rialzarci?», mi dice guardandomi negli occhi con tono sarcastico. In breve, ciò su cui molti piccoli imprenditori iniziano a confrontarsi tra loro segue questo ragionamento: «Il governo ha varato il green pass per farci lavorare, va bene; ma il fine è farci riprendere dai mesi di chiusura o il fine è farci pagare quel che abbiamo tenuto sospeso nel lockdown? Insomma tutto questo serve a loro o serve a noi?».

Il nuovo timore che si sta alimentando è proprio quello di fare i conti con le tasse che tornano a girare nel pieno delle aliquote, con le cartelle esattoriali che tornano a bussare e con le banche che possono rivendicare il puntuale pagamento delle scadenze, «perché ormai siamo aperti a pieno regime».

In poche parole, la liquidità e gli incassi finiscono col pagare il conto del Covid e non per star dietro alla crescente domanda del mercato. «La domanda c'è eccome, stiamo andando a ritmi impressionanti», spiegano. «Tanto che se fosse anche un solo lavoratore che mi resta a casa per protesta al green pass, nella mia piccola azienda si fatica. Quindi glielo pago io». Così fanno in tanti? «Ma certo, fossero questi i problemi. In televisione non state capendo che il problema non sono i lavoratori che protestano; quelle cose ce le risolviamo tra di noi. Per non perdere i lavoratori!».

E quali sono i problemi, chiedo. «Il paradosso di avere domanda ma rischiare di non soddisfarla. Per soddisfare la ripartenza della domanda noi dobbiamo essere puntuali nel pagamento dei fornitori, dobbiamo stare coperti per il rincaro straordinario e impressionante dell'energia, dobbiamo controllare non solo il costo delle materie prime ma soprattutto la disponibilità delle stesse. E come se non bastasse hai tutto la solita vecchia compagnia di giro che ti bussa alla porta, con spada di Damocle del durc sopra la nostra testa».

La compagnia di giro è il modo elegante per chiamare il fisco - nazionale e locale -, per chiamare Agenzia delle Entrate e le banche. «Tutti vogliono essere pagati per paura che la domanda rallenti. La nostra economia viaggia quando siamo noi piccoli a spingere; qui in tanti temono che al di là delle chiacchiere i soldi del Pnrr noi non li vedremo: arriveranno ai soliti, come sempre».

Questo è un pezzo d'Italia, che ancora si ferma a parlare al bar partendo dal green pass e superandolo dopo cinque minuti perché «i problemi seri, voi in parlamento non li capite mai». Questo è un pezzo d'Italia che non ha ancora capito che il parlamento non conta più un tubo. «Allora parlane in tivù perché ci siamo rotti le scatole di sentirvi parlare di green pass. Le nostre preoccupazioni sono altre». Ps. Il racconto che riguarda ristoranti, locali e bar, lo faremo un'altra volta. Anticipo che questa gente è ancora più nera: «Se fosse dipeso dai loro ristori avrei chiuso, adesso con la scusa del green pass è come se mi ritrovassi il fisco sull'uscio tutto il tempo». Già, era il nero da sopravvivenza che permetteva di respirare...