Riforma pensioni 2022 con quota 41 e Ape contributiva. La previdenza che ci spetta
L'addio a Quota 100 è sicuro, le nuove regole per la previdenza un po' meno. La quasi certezza sono le risorse che il Governo ha intenzione di mettere sul capitolo pensioni: 5 miliardi di euro per abbattere lo scalone che dal primo gennaio porterà l'età per uscire dal lavoro da 62 a 67 anni.
Una somma insufficiente a finanziare misure richieste dai sindacati come l'uscita con 41 anni di contributi oppure Quota 101 o 102. Misure considerate troppo care e dunque poco sostenibili.
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Ecco l'Ape con il contributivo
Prende sempre più corpo l'idea della "Ape contributiva" che darebbe a 63 o 64 anni la possibilità di lasciare il lavoro con un assegno calcolato sulla sola quota contributiva maturata alla data della richiesta. Una rendita ovviamente più leggera, che diventerebbe intera e più pesante, al raggiungimento dell'età di vecchiaia oggi fissata a 67 anni. L'uscita anticipata riguarderebbe chi ha accumulato 20 anni di contributi e ha una quota di pensione di importo pari o superiore a 1,2 volte l'assegno sociale. Un'ipotesi «sostenibile dal punto di vista finanziario» ha assicurato il presidente dell'Inps Pasquale Tridico che l'ha proposta ufficialmente. Il costo stimato è di 453 milioni nel 2022 che salirebbero fino a 1,165 miliardi nel 2025 e risparmi che scatterebbero dal 2028: ma si tratta di anticipi di cassa e dunque, di fatto, il costo è zero. La misura consentirebbe il pensionamento di 50mila lavoratori in più nel 2022, 66mila nel 2023, 87mila nel 2024.
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La Quota 41
Difficile che passi «Quota 41», e cioè l'uscita con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica, che piace a Lega e sindacati. A bocciarla è stato sempre Tridico: "Costerebbe a regime oltre 9 miliardi di euro all’anno". Secondo le tabelle prodotte dall'Inps costerebbe 4,3 miliardi di euro nel 2022, 5,9 nel 2023, 5,8 nel 2024, superando gli 8 miliardi nel 2027 e arrivando a 9,5 miliardi nel 2029. Nei due anni successivi la spesa rimarrebbe ancora sopra i 9 miliardi. A confutare questa tesi però è stata la Cgil per la quale le previsioni su questa soluzione «sono decisamente sovrastimate» perché ipotizza che tutti gli aventi diritto si avvalgano dell'opzione, quando l'esperienza concreta dimostra che in questi casi gli utilizzatori sono meno della metà. Secondo il sindacato. quindi, il picco massimo di spesa annua non supererebbe il miliardo e mezzo, e pertanto questo intervento sarebbe sostenibile.
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Ape sociale allargata
Tra le ipotesi di lavoro c'è anche l'ampliamento dell'Ape sociale, che estenderebbe la platea delle attività gravose previste. Per Tridico sono 30, oltre alle 15 esistenti, e le modifiche costerebbero un miliardo in tre anni. L'Ape sociale che manda in pensione a 63 anni e a costo zero potrebbe essere estesa anche ai cosiddetti “lavoratori fragili a rischio Covid”. Sono tutti i soggetti che pur non essendo invalidi al 74% soffrono di gravi patologie, come tumori o malattie cardio-vascolari. Tra le mansioni da considerare usuranti ci sono i lavori come quello dei bidelli, dei saldatori, dei tassisti, dei falegnami, dei conduttori di autobus e tranvieri, dei benzinai, dei macellai, dei panettieri, degli insegnanti di scuole elementari, dei commessi e dei cassieri, degli operatori sanitari qualificati, dei magazzinieri, dei portantini, dei forestali, dei verniciatori industriali.