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No di Confcommercio al salario minimo. "La soluzione resta il contratto nazionale"

Tommaso Carta
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La soluzione per combattere il dumping sociale «non è il salario minimo» bensì il contratto collettivo nazionale, «quello stipulato da parti realmente rappresentative, che garantisce retribuzioni adeguate e un moderno sistema di welfare sanitario e previdenziale». È questa la strada indicata dal presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, nelle relazione tenuta in occasione dell’assemblea annuale dell’associazione. Ad ascoltarlo, dalla platea dell’Auditorium della Conciliazione, circa 400 persone tra cui rappresentanti di governo (i ministri Giorgetti, Brunetta, Garavaglia, Bonetti), leader politici (Tajani, Meloni) e sindacali (Sbarra). Per Sangalli sul tema del lavoro «serve un deciso passo in avanti» nella contrattazione collettiva, mentre non deve essere percorsa la via del salario minimo per legge. La strada da imboccare è un’altra, «un circuito virtuoso intorno al quale fare convergere gli impegni di parte pubblica e delle parti sociali: produttività, crescita e crescita dei redditi da lavoro». È questo, secondo il presidente Confcommercio, «il Patto che occorre, per mettere al centro dell’agenda politiche, misure e risorse da mobilitare per affrontare le sfide dell’innovazione e della sostenibilità».

 

 

Nel discorso tenuto da Sangalli torna spesso la parola «ricostruzione», centrale in un momento in cui il Paese sta cercando di rialzarsi dai colpi inferti dalla pandemia. «Siamo stati tra i primi a sostenere vaccinazioni e green pass - ricorda -. Del green pass siamo stati primo banco di prova e ora ne sollecitiamo anche i chiarimenti operativi. Abbiamo dimostrato una "disponibilità responsabile", senza mai esitare nel segnalare provvedimenti talvolta contraddittori e spesso insufficienti. Affrontare l’emergenza prima, ricostruire il futuro ora». Partendo da alcuni dati che certificano il fatto che «purtroppo non sono finiti i sacrifici dei nostri imprenditori».

 

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