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Nel Direttivo della Bce tornano a volare i falchi dell'austerity: segnale d'allarme per Roma

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La riunione del Consiglio Direttivo della Bce di giovedì scorso ha tratto le necessarie conseguenze della recente modifica del target dell’inflazione che da «intorno, ma sotto il 2 per cento» è stato cambiato nel «2 per cento simmetrico». Un livello, quest'ultimo, ritenuto più coerente con l’unico mandato conferito all’Istituto dal Trattato Ue per il mantenimento della stabilità dei prezzi. Le indicazioni prospettiche, la cosiddetta «forward guidance», dato tale obiettivo, prevedono che i tassi di interesse rimarranno sui livelli attuali o inferiori fino a quando l’inflazione non raggiungerà il 2 per cento ben prima della fine dell’orizzonte di proiezione della Banca, cioè il 2023. Insomma, per modificare l’impostazione sui tassi, occorre un «2 per cento» duraturo, perché un eventuale superamento di carattere transitorio di tale livello sarebbe tollerato e non comporterebbe il dovere di alzare i tassi di riferimento. La decisione dà un ampio margine di sicurezza anche se, nella conferenza stampa successiva alla seduta del Consiglio, la Presidente della Bce, Christine Lagarde, pur rilevando un miglioramento della situazione economica nell’area dell’euro dove però si registrano 3,3 milioni di disoccupati in meno rispetto a prima della pandemia, ha sottolineato il perdurante impatto negativo del Covid 19 e il collegamento, per il superamento, con il successo della campagna di vaccinazione.

 

 

La modifica del target dell’inflazione era stata votata all’unanimità. Invece, le indicazioni prospettiche, come ha precisato la Lagarde, non sono state varate unanimemente. Alcuni tendono a ridimensionare tale differenziazione attribuendola a un proficuo rapporto dialettico nel Consiglio Direttivo. Eppure si trattava, giovedì, di decidere in coerenza con la modifica in precedenza deliberata e con l’indirizzo, anche in passato seguito, di non attribuire valore alle variazioni transitorie del tasso di inflazione. È da presumere che coloro che hanno votato contro avrebbero voluto verosimilmente qualche segnale che avrebbe attenuato la impostazione massimamente accomodante della politica monetaria? Si sarebbero attesi qualche attenuazione nel versante degli acquisti di asset, argomento che, però, non è stato affrontato? È possibile mai che sono stati d’accordo sull’obiettivo dell'inflazione, ma nutrivano la riserva mentale di proporre una diversa «forward guidance»? Qualcosa sapremo quando saranno rese note le «minute» della discussione. Intanto, si può essere certi che la divisione passa anche per «falchi» e «colombe» all'interno del Consiglio. E non sono di certo le notizie che qualche volta sarebbero filtrate dall'interno dell'Istituto il fatto più preoccupante, che qualcuno teme.

 

 

Certamente, se confermato, si tratterebbe di un comportamento inaccettabile, che segnala uno scarso senso di responsabilità. Ma quando si arriva a questi estremi, allora vuol dire che i fattori di divisione sono rilevanti ed é su di essi che bisogna riflettere perché il Consiglio della Bce non cominci a imitare, inconsapevolmente, quanto accade in alcuni organi della politica, pur essendo tutt’altra cosa. Alla fin fine, è la perdurante politica monetaria espansiva che non piace ai «falchi», in primis al presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Eppure, si tratta di una politica vitale per l'area, ancor più per alcuni Paesi fra i quali il nostro. Al vertice dell'Istituto spetta comunque operare una sintesi che falci l’erba sotto i piedi dei dissenzienti, dai quali, però, va assunto ciò che di apprezzabile è nello loro posizioni. Il voto contrario di giovedì potrebbe essere, altresì, pure un segnale per la riunione di settembre del Direttivo particolarmente importante. Occorrerà, dunque, prepararsi adeguatamente, da parte dei componenti che la sostengono, per il consolidamento della linea deliberata e per prevenire o contrastare un eventuale processo di trasferimento di sensibilità politiche all'interno di una Istituzione che è e deve essere autonoma e indipendente dalla politica e dall'economia.

 

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