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Contro crisi e pandemia le «colombe» fermino i soliti «falchi» della Bce

Angelo De Mattia
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È difficile valutare se e quanto siano fondate le voci che si stanno diffondendo secondo le quali nella riunione del Consiglio direttivo della Bce che si terrà giovedì 22 luglio si evidenzierebbe una netta divisione tra i «falchi» - capitanati dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann - che vorrebbero l’avvio del rientro del programma pandemico di acquisti e le «colombe», tra le quali la stessa presidente Christine Lagarde che, invece, persistono nella linea massimamente accomodante della politica monetaria. Vi sarebbe stato un «casus belli» per la riapertura della spaccatura dovuto alle parole adoperate dalla Lagarde a proposito della linea che intende seguire evocando la persistenza dell’impostazione espansiva.

 

 

In effetti, la seduta del 22 non contempla una discussione di questo tipo, essendo essa dedicata a valutare le conseguenze della deliberata revisione della politica monetaria consistente, in particolare, nell’avere fissato il livello dell’inflazione - in coerenza con il mandato sul mantenimento della stabilità dei prezzi conferito alla Bce - nel tasso simmetrico del 2 per cento e non più in quello «intorno al 2 per cento» fin qui vigente. In sostanza, nel Direttivo andrebbero discusse ed approvate le previsioni e gli indirizzi, la «forward guidance», in coerenza con i risultati della revisione. Ma, naturalmente, le correlazioni della materia con i tassi di interesse in generale e con gli acquisti di titoli, pandemici e no, insomma con le misure non convenzionali, sarebbero abbastanza chiare e tali comunque da offrire spazio per affrontare anche gli argomenti voluti dai «falchi». Alla fine, si potrebbe, tuttavia, concordare un rinvio di tale discussione a settembre, come del resto si era già profilato.

Pur assistendosi a un miglioramento delle condizioni economiche dell’area, gli immanenti attacchi e la loro estensione della variante Delta, la stessa catastrofe verificatasi in Germania accentuano l’esigenza di continuare con gli stimoli monetari (oltreché con quelli di bilancio) l’inizio del cui ritiro sarebbe ora assolutamente improvvido, non potendosi ancora dire che siamo completamente usciti dal pelago alla riva. La riduzione dell’acquisto di titoli pubblici porrebbe un problema grave per i Tesori dei partner comunitari e, in particolare, per quelli che presentano il peso più elevato del debito in rapporto al Pil e costituirebbe una marcia in senso opposto al Next Generation Eu tradotto nei Piani nazionali. Per di più, sarebbe una clamorosa smentita della «filosofia» che finora ha retto le operazioni non convenzionali, basata sulla necessità di portare verso il target a suo tempo fissato il livello dell’inflazione: esigenza oggi ancora valida, poiché quest’ultima, escludendo, come di norma, i prezzi dei beni energetici e di quelli alimentari, è ancora troppo bassa e lontana dal 2 per cento. Dunque, è auspicabile che non si registri la spaccatura temuta.

 

 

Certo, ci si avvicina, in Germania, alle elezioni politiche di settembre, mentre Angela Merkel, che ha rappresentato un fattore esterno di stabilità della governance della Bce, annuncia che non si ricandiderà per la carica di Cancelliere, sicché aumenta l’incertezza sul futuro del governo tedesco, a maggior ragione dopo la catastrofe verificatasi in questi giorni con tante gravissime perdite di vite umane. Quando si pensa agli ultimi 5/6 anni della Bce e si manifesta soddisfazione perché molte delle iniziative rigoristiche del «falco» Weidmann non sono poi passate, non ci si può fermare soltanto alla pur effettiva opera dell’allora presidente, Mario Draghi. È stato il ruolo di Angela Merkel che, soprattutto, ha fatto sì che l’agire del presidente della Bundesbank non arrivasse a posizioni di non ritorno, così come era accaduto con un suo predecessore. Ora il quadro politico sta per cambiare e, pur dovendosi rispettare autonomia e indipendenza della Bce, non si può certo dire che essa viva e agisca nel vuoto torricelliano. Oggi la continuazione di una linea di politica monetaria accomodante è vitale per le imprese e le famiglie. Naturalmente, ciò non esclude, anzi rafforza l’esigenza che faccia la propria parte, nell’area e nei singoli Paesi, la politica economica e di finanza pubblica.

 

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