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Tassa di successione attacco alla famiglia. Ecco perché Draghi ha bocciato la proposta di Enrico Letta

Riccardo Pedrizzi
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Enrico Letta, nuovo segretario d'emergenza, richiamato da Parigi, dove si era rifugiato per dedicarsi all'insegnamento, sperando di smaltire le delusioni politiche provocate dallo «stai sereno» di Matteo Renzi, ha lanciato una proposta, che non sta né in cielo né in terra, che riportiamo testualmente da una sua intervista pubblicata su «Corriere Sette»: «Il mio sogno è trattenere i ragazzi italiani in Italia, senza però farli restare in casa con mamma e papà fino a trent' anni. Il problema principale del nostro Paese è che non fa più figli. Ci vuole una dote per i giovani, finanziata con una parte dei proventi della tassa di successione».

Questa vera e propria «boutade» ha incassato subito lo stop del Presidente del Consiglio, Mario Draghi, che ha dichiarato: «Non abbiamo mai parlato, ma non è il momento di prendere soldi dai cittadini, ma di darli». In pratica Letta, che vuole lanciare temi identitari cari alla sinistra, come lo «jus soli», per dare la cittadinanza a migliaia di immigrati, o come la proposta di legge Zan, che toglierebbe persino la libertà di parola ai sostenitori della famiglia naturale, propone di intervenire sulle donazioni e sulle eredità superiori ai 5 milioni di euro, recuperando 2,8 miliardi che sarebbero distribuiti, con quote da 10mila euro ciascuna, alla metà dei diciottenni italiani, sulla base del reddito (Isee).

Questa tassa arriverebbe all'aliquota del 20 per cento. In effetti si tratta della solita logica assistenzialistica, statalistica dei cosiddetti «bonus», che non risolve nessuno dei problemi a cui fa riferimento il leader del Pd. Perché: a) non trattiene in Italia i ragazzi che vanno all'estero per il mancato accesso o dell'abbandono dell'istruzione universitaria dei giovani provenienti da famiglie con redditi bassi. Occorrerebbe invece prendere in esame «vere forme di esonero dalle tasse universitarie e di prestito o, come suggerisce la Corte dei Conti, aiuti economici per gli stu denti universitari meno ab bienti».

Il problema infatti dovuto oltre che a fattori culturali e sociali, al fatto che la spesa per gli studi terziari, caratterizzata da tasse di iscrizione più elevate rispetto a molti altri Paesi europei, grava quasi per intero sulle famiglie; b) non incentiva la nascita di cittadini italiani per la quale occorrerebbero politiche per la famiglia, che, ad esempio, agevolino il lavoro delle donne, istituiscano asili nidi in tutte la penisola, che in maniera strutturale sostengano la nascita del secondo e del terzo figlio ed aiutino le famiglie numerose; c) non aiuta le coppie a costruirsi una famiglia ed ad acquistare una prima casa se non si elimina il fenomeno del precariato.

Per tutte queste ragioni il nostro Premier, condividendo le analisi di Francoforte sul proseguimento di una politica espansiva, che per essere tale non pue) prevedere aumenti della tassazione, ha bocciato senza appello la proposta fatta da Enrico Letta di reintrodurre una tassa sulla successione.

Sul piano culturale l'imposta sulle successioni tradisce quella radicata diffidenza di una parte della cultura di questo Paese (quella collettivista e marxista) contro l'istituto della proprietà privata e contro la famiglia naturale. Il prelievo viene normalmente giustificato con la circostanza che si tratta di attribuzioni patrimoniali non «meritate» e si fonda su una concezione della famiglia atomistica e circoscritta nel tempo e nello spazio, propria della cultura illuministica e rivoluzionaria che continua ad alli gnare in ricchi miliardari radicalchic, come Riccardo Illy, che considera il patrimonio ereditato «un dono non meritato» e «profondamente diseducativo».

Tale pregiudizio è in realtà infondato ed irrilevante, poiché l'acquisto per via ereditaria è, invece e tra l'altro, pienamente giustificato dal risparmio accumulato in vita dal testatore, che di solito è il padre. Inoltre, l'imposta sulle successioni, rappresentando un'ipotesi specifica di imposta sul patrimonio, costitui sce un forte disincentivo al risparmio, poiché garantisce un migliore trattamento fiscale per coloro che consumano, se non addirittura dissipano, interamente il proprio reddito. In via generale, infatti, le imposte patrimoniali indeboliscono il sistema economico nel suo complesso perché ne riducono la capitalizzazione e quindi la capacità di crescita e di sviluppo tecnologico. Occorre poi osservare che, soprattutto nei casi dei grandi patrimoni, attualmente si ricorre spesso a forme di trasferimento intergenerezionale fiscalmente meno onerose.

Tale fenomeno accentua l'ingiustizia complessiva dell'imposta di successione, che finisce per colpire i patrimoni di dimensioni medio -piccole, costituiti da cespiti di natura prevalentemente immobiliare, i quali più difficilmente possono sottrarsi al prelievo. E poiché il tessuto economico del nostro Paese è costituito prevalentemente di piccole e medie aziende, di fatto questo balzello, se reintrodotto, andrebbe a colpire l'intero apparato produttivo nazionale. Ma, soprattutto, l'eventuale reintroduzione di questa imposta si muoverebbe nell'ambito di una strategia di attacco alla famiglia, intesa come corpo intermedio e come strumento di trasmissione non solo di valori e modelli di comportamento, ma anche di patrimoni e risorse economiche.

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